DON STURZO ED IL PARTITO POPOLARE ITALIANO

NEL 2023 SOGNAMO TANTI GIOVANI IMPEGNATI IN POLITICA SEGUENDO UN IDEALE .

ESSENDO QUESTO UN SITO CATTOLICO LA PROPOSTA E' " SULLE ORME DI ........fino ad Aldo Moro"

"La democrazia cristiana acquistò in Sicilia una forza, un fuoco interno dall’acutezza della questione meridionale, con la quale essa venne a contatto» (De Rosa 1958, pp. XXV-XXVI)

E la Calabria non è molto distante dalla Sicilia.

ROMOLO MURRI -  GIUSEPPE TONIOLO  -LUIGI STURZO

ALCIDE DE GASPERI - Luigi Gedda -   GIORGIO LA PIRA- ALDO MORO

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1942 . NASCE LA DEMOCRAZIA CRISTIANA - Nell'estate del 1942, alcuni esponenti del Movimento Guelfo (Falck, Malvestiti, Clerici ecc.), si recarono a Borgo Valsugana per coordinare con Alcide De Gasperi una azione comune per la creazione di un nuovo partito che fosse la risultanza dell'antico Partito Popolare e del nuovo Movimento Guelfo. Nell'ottobre 1942, a Milano in un convegno clandestino svoltosi nell'abitazione dell'industriale Falk, fu fondato il partito Democrazia Cristiana. Oltre che a Alcide De Gasperi, parteciparono Pietro Malvestiti, Achille Grandi, Giovanni Gronchi, Edoardo Clerici, Stefano Jacini, don Primo Mazzolari, Gioacchino Malavasi. Aderirono quasi subito molti dirigenti cattolici, come Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Mario Bendiscioli, Giorgio La Pira. E al suo rientro dall'esilio Don Sturzo.

Alcide De Gasperi era stato l'ultimo segretario politico del Partito Popolare nel periodo tra il 20 maggio 1924 ed il 14 dicembre 1925.
Nel 1919 quand'era nato il PPI, DON STURZO il fondatore già nel novembre del 1918, aveva esposto un progetto politico di un partito cattolico, democratico, non confessionale. In alternativa a quello del dirigente cattolico lombardo Stefano Cavazzoni che proponeva la fondazione di un partito alle dipendenze dell'Azione Cattolica. Già il 3 settembre 1900 Don Sturzo e Mussi avevano fondato un partito, ma erano sorti contrasti tra cattolici modernisti e i cattolici timorati perchè legati alle alte gerarchie Vaticane.
Come don Sturzo anche ROMOLO MURRI i
prete marchigiano - interpretando in senso radicale la Rerum Novarum- teorizzava una possibile convergenza tra dottrina sociale della Chiesa e movimento socialista e tra spirito religioso e istanza democratica. Fu clamorosa la posizione assunta dal suo movimento contro la politica repressiva attuata dal governo, posizione che segnò una prima frattura con l'atteggiamento ufficiale della Chiesa, improntato allora ad un assoluto "interclassismo".
Questo perché sia Murri che Don Sturzo, 
attaccando gli intransigenti conservatori sostenevano che i cattolici si dovevano impegnare concretamente nella difesa delle libertà fondamentali e dei ceti popolari "anche appoggiando alcune battaglie dell'estrema sinistra".

Murri puntò alla costituzione di un partito politico autonomo. Ciò avveniva nei primi del '900, proprio mentre il Vaticano assumeva posizioni sempre più caute nel campo della politica sociale. Nel 1901 papa LEONE XIII emanò l'enciclica Graves de Comuni, con la quale vietava di attribuire qualsiasi carattere politico alla "democrazia cristiana"; nel 1904 venne sciolta l'Opera dei congressi, il cui direttore GIOVANNI GROSOLI  condivideva le posizioni di Murri. Nel 1907 quest'ultimo, che nel frattempo aveva fondato la Lega Democratica Nazionale, venne sospeso a divinis, punizione inflitta ai sacerdoti indisciplinati nei confronti della gerarchia ecclesiastica. Poi nel 1909, dopo la sua elezione a deputato con l'appoggio radicale e socialista, fu addirittura scomunicato.

Murri pubblicò a fine 1907 anche il famoso libro "La politica clericale e la Democrazia"; si prese la sospensione a 
divinis seguita l'anno dopo dalla scomunica che mise termine alla sua carriera politica nei cattolici, mentre il prete di Caltagirone che in un certo qual senso a lui si ispirava, rinuncerà ad attuare praticamente l'idea di un partito (il PPI) come l'aveva concepito, ritenendo (con l'antimodernista Pio X sul soglio, fino al 1914 - con la sua enciclica "Sugli errori del modernismo"
) i tempi prematuri.

Don Sturzo torna però alla ribalta (era salito sul soglio Benedetto XV) nel 1915, quando viene nominato segretario dell'Azione Cattolica; attende qualche anno poi nel 1918-1919, ritorna al suo progetto. Il Vaticano - con la definitiva abolizione del 
non expedit in occasione delle elezioni del novembre 1919, sciogliendo l'Unione Elettorale Cattolica, prese la decisione con l'appoggio della giunta direttiva dell'Azione Cattolica di sancire il riconoscimento pontificio del Partito Popolare di don Sturzo .


Don Sturzo, seguendo la sua originale linea- nel creare il suo partito non si fa scudo di una comoda croce (e nemmeno usa il "cristiano"), infatti afferma la necessità di non voler caratterizzare la nuova formazione politica in base alla scelta religiosa dei suoi aderenti. E aggiunse -al 1° congresso del PPI a Bologna nel giugno 1919- "
E' superfluo dire perchè NON ci siamo chiamati "partito cattolico": i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione
".
Insomma Don Sturzo riteneva che la Chiesa come istituzione dovesse tenersi libera e distante dalle questioni politiche (ed erano le stesse idee di GIOLITTI, di MURRI, e in modo più blando e sofferto TONIOLO).
Questa linea aconfessionale prevalse sull'altra mozione presentata al Congresso, dal direttore della rivista "Vita e pensiero" AGOSTINO GEMELLI, secondo il quale il partito doveva dichiarare esplicitamente l'impostazione cristiana del suo programma, pur confermando la scelta dell'autonomia dell'autorità ecclesiastica.


Ciò che nel 1921 fece cambiare indirizzo al PPI, e in seguito a scomparire dalla scena politica, fu il nuovo clima politico creato dal rafforzamento del fascismo, favorito in questa ascesa anche dal caotico "biennio rosso". Quando don Sturzo al III congresso del PPI a Venezia si pronunciò a favore di un'eventuale collaborazione con i socialisti e i democratici in funzione antifascista, iniziarono le prime spaccature all'interno del partito. Mussolini che aveva preso il potere, aveva formato un governo sì con l'aiuto dei Popolari ma con una corrente di destra del PPI, che non era insofferente al fascismo come don Sturzo, che al IV congresso di Torino del '23, si presentò con la 
formula "né opposizione, né collaborazione".

Mussolini manda a dire a don Sturzo che vuole chiarimenti "chiari, precisi, inequivocabili". Intanto forte di quella corrente minoritaria, Mussolini furbescamente fa sapere a tutta Italia che ha dalla sua parte il partito cattolico, e che la sua antipatia è solo diretta verso "quel sinistro prete".
Mentre Don Sturzo è in quella situazione, Mussolini il 19 maggio incontra Alcide De Gasperi, e il trentino non oppone rifiuto a priori ai progetti mussoliniani, compresa la riforma elettorale. Fu il colpo di grazia che mise alle corde e isolò del tutto Don Sturzo, che prima dovette dimettersi da segretario e l'anno dopo a prendere la via dell'esilio. Rimarrà a Londra in esilio per ventidue anni.

Il 20 maggio 1924 Alcide De Gasperi è nominato segretario del Partito Popolare. Ma si è appena insediato, quando il 30 dello stesso mese avviene la scomparsa di Matteotti; si teme il peggio; quando viene rinvenuto il cadavere di Matteotti il fascismo e quasi sull'orlo della disfatta.
A quel punto l'opposizione di De Gasperi al fascismo e a Mussolini diventa ferma decisa e risoluta anche se (con un Mussolini uscito poi indenne dalla bufera) dovette pagare lo scotto col suo ritiro dalla vita politica attiva a seguito dello scioglimento del Partito e, dopo un periodo persecutorio, un arresto, una condanna, qualche mese di galera e un domicilio coatto, si rifugiò nella Biblioteche Vaticana a fare schede, per sfuggire a ulteriori persecuzioni del fascismo.
De Gasperi inizia a uscire dalle mura leonine -come accennato all'inizio- nel 1942, quando lo ritroviamo a Milano a fondare in ottobre il nuovo partito cattolico e a presentare un primo schema programmatico della Democrazia Cristiana che verrà diffuso clandestinamente in tutta Italia con la firma di "Demofilo" (pseudonimo di De Gasperi) nel periodo della dominazione nazifascista in settentrione.
Era un primo schema programmatico dove si affermava
"Non è questo il momento di lanciare programmi di parte, il che sarebbe impari al carattere di quest'ora solenne che reclama l'unità di tutti gli italiani".

Si accennava tuttavia a un programma ufficioso, mentre quello ufficiale sempre a firma "Demofilo" lo pubblicò clandestinamente prima "Il Popolo" , poi uscì un opuscolo intitolato "La parola ai democratici cristiani" che iniziava con questa nota dello stesso De Gasperi: 
"L'ossatura di questo proclama si trovava già nel nostro primo documento, che venne compilato ancora durante il regime fascista con la valida cooperazione di alcuni amici di provata competenza tecnica e che immediatamente dopo il colpo di Stato, venne edito sotto il titolo « Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana».  Il testo venne scritto alla fine di ottobre, pubblicato la prima volta su Il Popolo del 2 novembre 1943 ed esce ora, gennaio 1944, con lievi aggiunte e modificazioni».(Atti e documenti della D.C. 1943-1967 - Nov '67, Prefaz. Mariano Rumor, Ed. 5 Lune, Roma)
 
Per la scelta di una linea da dare al partito, De Gasperi come contenuti si ispira a Murri ma tacerà l’influenza di don Romolo Murri, sostituendo la figura dello scomodo sacerdote marchigiano come punto di riferimento con quella di Giuseppe Toniolo e si ispira a don Sturzo (più volte cita le tradizioni del PPI, gli indirizzi e i concetti sociali - del resto proprio De Gasperi aveva fondato a Trento un Partito Popolare). Come nome da dare al partito guarda ancora a Murri del 1900 e a Toniolo (quest'ultimo allora più ossequente verso l'autorità ecclesiastica). Oltre che prendere il partito il nome di Democrazia Cristiana (fu proprio Toniolo a coniare questo nome e Murri a usarlo nel suo partito), il simbolo diventa proprio uno scudo con la croce; che non era però -come abbiamo visto- di certo nella tradizione di don Sturzo, che tuttavia aderì pure lui alla DC degasperiana dopo essere rientrato dal ventennale confino. Mentre il rientro di Murri a quella data non era ancora avvenuto.

La curia romana pur mostrandosi un po' sospettosa
indica in De Gasperi il candidato più gradito alla Santa Sede per la guida di un nuovo governo (
E. Di Nolfo, Vaticano e Stato Uniti 1939-1952Dalle carte di Myron Taylor, Milano 1978, pp. 60 e 279)
Tuttavia la Curia è sospettosa, perchè il partito di De Gasperi è nato dall'unione fra gli esponenti milanesi del Movimento Guelfo d'azione e da un manipolo di ex dirigenti del vecchio Partito Popolare, compreso don Sturzo, capace di combinare nuovi pasticci (Torino 1923) magari rilanciando il suo slogan di "uomini liberi e forti" del 1919.

La Curia abbiamo detto era sospettosa, perchè sempre Civiltà Cattolica mentre De Gasperi creava il suo partito, non escludeva che 
"tra i cattolici potessero sorgere più partiti lecitamenti discordanti". Non sbagliava Civiltà Cattolica, e la Curia aveva le sue ragioni per essere sospettosa. Infatti oltre quel partito di Guelfi e di ex del PP, era nato un movimento cristiano-sociale guidato da Gerardo Bruni (
vedi AA.VV. "Gerardo Bruni e i cristiano-sociali tra fascismo e repubblica, a cura di Parisella, Roma 1984), e si era formato un gruppo di "cattolici-comunisti" guidati da Franco Rodano e Adriano Ossicini, che poi chiamarono "sinistra-cristiana", ma che non servì per calmare le apprensioni al di là del Tevere. Anzi quel "sinistra" era proprio un presagio sinistro.

Dobbiamo a questo punto tornare all'inizio 1944, quando a Bari in un congresso si riunirono i comitati di liberazione (questi fatti più dettagliati li abbiamo riportati nel singolo anno 1944). Le cronache ci dicono che fu eletta una giunta permanente, composta da un rappresentante per ogni partito, per mettere in pratica la risoluzione del congresso; che era quella di proporre l'abdicazione del Re e il rinvio della scelta istituzionale. Ma l'aria che tirava (con le nuove relazioni Russia-Badoglio) era quella di una eventuale partecipazione a un governo Badoglio (che poi avanzò Togliatti al suo rientro in Italia alla fine di marzo, sconcertando i comunisti italiani e lasciando sbigottiti gli anglo-americani).
Non sappiamo nè da Badoglio, nè dai comunisti cosa accadde. Lo possiamo solo immaginare quando andiamo a leggere una dichiarazione della Democrazia Cristiana del 26 gennaio 
(il documento è riportato in "Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943-1967", presentati da Mariano Rumor, edizione 5 lune, 1967). Ecco cosa riportava la dichiarazione :"In riferimento alla dichiarazione del Partito Comunista pubblicata sul Risorgimento del 25 gennaio la Democrazia Cristiana precisa che, fra le condizioni per una eventuale partecipazione al Governo Badoglio, vi era quella della collaborazione con tutti i Partiti rappresentati nei Comitati di LIberazione, e non già con i soli Partiti Comunisti e Socialisti".

Il 27-29 gennaio sempre a Bari la DC tenne un congresso, parallelo a quello dei C.d.L.N. Alla chiusura del Congresso dei Comitati , l'O.d.G. dello stesso Comitato costituiva la Giunta Esecutiva Permanente, alla quale furono chiamati i rappresentanti designati dai partiti componenti i Comitati.Fu firmato da sei partiti: Michele Di Pietro per il PLI, , Paolo Tedeschi per il PCI, Luigi Sansone per il PSI, Adolfo Omodeo per il P.d'A., Andrea Gallo per Democrazia del Lavoro, e infine Angelico Venuti per la DC .

Indubbiamente le poche righe in corsivo sopra, per quanto la Santa Sede sospettosa, fecero accelerare il riconoscimento ufficiale della Democrazia Cristiana di De Gasperi; e sul suo partito (con nel simbolo la croce) la Chiesa spinse i propri credenti.

Ma poi quasi subito, Pio XII iniziò a giocare le sue proprie carte con l'uomo giusto a portata di mano, lo zelante LUIGI GEDDA. Frenetico e abile oganizzatore, lui (che ha già quarto di secolo di militanza nella AC - e che dopo il 25 luglio, caduto Mussolini e il Fascismo, offrì subito la propria collaborazione a Badoglio e gli chiese di porre uomini dell’Azione cattolica alla testa delle organizzazioni giovanili, assistenziali e culturali in precedenza guidate dai fascisti.) ogni cosa che tocca (professioni, categorie, ex associazioni, ex sindacati ecc.) la trasforma in una 
"Unione di cattolici", i medici, gli insegnanti, gli operai, i contadini, gli addetti allo spettacolo, quelli addetti alla radio, allo sport. Con gli ex balilla rimette in piedi gli scout, con questi forma gli 
eserciti della fede che mobilita in adunate oceaniche al canto dell'inno della Giac "...Siamo arditi della fede, / siamo araldi della Croce, / a un tuo cenno, alla tua voce, / un esercito ha l’altar».; ed infine crea il suo capolavoro: i COMITATI CIVICI, un formidabile strumento capace di mobilitare i cattolici e gli italiani anche non cattolici (le mogli, le figlie, le sorelle, le madri dei comunisti, che in chiesa ci andavano comunque) con un’efficace martellante propaganda, in grado di opporsi al Partito Comunista Italiano.

"Fermare il Fronte Popolare di Togliatti che guardava a est e contava sull'ingresso dei carri armati di Tito e Stalin in Italia dopo la vittoria del Fronte Popolare. C'era il reale rischio che sorgesse una confederazione comunista ed atea da Leningrado a Madrid, dove gli sconfitti dal generale Franco avrebbero potuto essere stimolati alla rivincita. Le sorti non solo dell'Italia, ma dell'Europa intera, erano in gioco."
(Politica del Fronte Popolare, raccontati dal Prof. Gedda nel suo ultimo libro: "18 aprile 1948 - memorie inedite dell'artefice della sconfitta del Fronte Popolare" - Ed. Mondadori – Le Scie - Aprile 1998 - Capitolo XVI)


Gedda si muove con disinvoltura e ha grandi capacità organizzative; domina le masse cattoliche, le riunisce, le guida e le muove quando vuole lui e dove vuole lui (suscitando qualche preoccupazione in De Gasperi). Si affida ai 300.000 attivisti dei 18.000 Comitati Civici che ha creato e scatena una propaganda capillare attraverso 282 Diocesi, 25.647 Parrocchie, 66.351 Chiese, 3.172 Case Religiose Maschili, 16.248 Case Religiose Femminili, 4.456 Istituti di Assistenza e di Beneficenza con 232.571 assistiti, e 249.042 ecclesiastici, fra cui 71.072 preti, 27.107 religiosi professi e 150.843 professe. Diventano tutti ambasciatori di una direttiva esplicita ben chiara. 
"Demonizzare il Comunismo e i suoi rappresentanti".

Affiancate in una altrettanta penetrazione nell'ambito del nucleo familiare, ci sono tutte quelle associazioni giovanili, professionali, sportive, o di lavoratori e coltivatori, che prima (ancora dall'Opera dei Congressi con Rumor-padre tra i fondatori) o durante il fascismo (sciolte poi da Mussolini) si presentano nel dopoguerra con altri nomi.
Sono tutte associazioni usate per rinfocolare con ogni mezzo "la paura del comunismo" che é presentato come l'
"impero del male", "una sventura per l'Italia qualora si insinuasse nella vita civile italiana questo cancro", "una disgrazia incalcolabile", "un salto dentro un abisso dove non esiste Dio".

Pio XII è stato esplicito: già nel discorso natalizio del 22 dicembre 1946, il suo messaggio lo termina con una invocazione che sembra una dichiarazione di guerra:
"O con Cristo o contro Cristo".
Gedda incontra continuamente il Papa (64 udienze) e mobilita enormi masse di giovani, forma gli "eserciti della fede" con uno slogan 
" questa fede che abbiamo radicata in noi é fino al punto di dare per essa se necessario il sangue" . Gedda infatti giustifica questa lotta appellandosi agli antichi martiri della Chiesa contro "i senza Dio".

Già al voto del referendum Repubblica-Monarchia, De Gasperi si era espresso, in privato (lo ha ricordato la figlia Maria Romana) per la Repubblica, ma la DC clericale lascia libertà di voto a causa delle forti lacerazioni interne tra un elettorato progressista (di sinistra) ed uno conservatore (di destra e monarchico); è il primo sintomo dell’ambiguità della cosiddetta "Balena Bianca": e sarà così per tutta la prima fase della storia repubblicana. (del resto, poi, nel 51, Pio XII con Gedda era stato chiaro: "
....consiglia di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta anticlericali". (vedi più avanti)

Alcuni storici hanno scritto che i 
"Comitati Civici trasformarono il terrorismo psicologico in merce corrente della lotta politica"; così pure "La voce di Dio"
cioè padre Lombardi nelle piazze d'Italia, o con il suo "microfono di Dio" alla Radio, che "con le sue roventi orazioni evocava scenari apocalittici per mettere in guardia gli ascoltatori contro le infamie del comunismo" (S. Lanaro, Storia dell'Italia Repubblicana, pag. 96, Marsilio, 1992).

Legittimo invece secondo Giuseppe Vedovato: "
Vi fu chi mise in dubbio la legittimità dell'azione dei Comitati Civici, come se fosse un'ingerenza delle gerarchie vaticane nella vita dello Stato repubblicano, e chi scrive avrebbe dimostrato, da deputato, nei primi mesi del 1958, allorché venne discussa una mozione comunista in questo senso (presentata da Togliatti, Gullo, Pajetta) l'infondatezza giuridica e politica dell'accusa. I Comitati civici erano costituiti da cittadini italiani legittimati ad agire liberamente come tutti gli altri, che avevano scelto di lottare per l’"anticomunismo di massa” alle elezioni, ma non si fermavano a questo, perché svolgevano una continua presenza tra le classi più permeabili alla propaganda dei comunisti". 
(Giuseppe Vedovato dalla rivista “30 giorni”, anno XIX (2001) n° 10 (ottobre), pag. 92-94).

Quella sopra è un distinguo, ma ricordiamo che a causa dei Patti lateranensi (riconfermati nella nuova Costituzione) all'Azione cattolica era vietato fare politica per un partito. E l'azione dei Comitati Civici era una vera e propria propaganda politica.

Ogni vescovo, ogni prete, ogni curato anche nei più piccoli paesi (dove non esistevano gruppi di azione cattolica) già "crociato della fede", si trasforma in virtuale "crociato politico"e con i Comitati Civici ognuno di loro diventa uno zelante propagantista politico della DC.
Ecco perchè da più parti fu detto che era una ingerenza della Chiesa nelle vicende politiche. Lo capì e lo disse perfino il cattolico liberale don Luigi Sturzo: 
"La Dc è diventata debitrice dell'Azione Cattolica".


La vittoria ci fu, ed era forse indispensabile per l'Italia, ma mostrò e perpetuò una arretratezza politica del Paese: la dipendenza del cattolicesimo politico dalle gerarchie. E quando quest'ultime diventarono poco influenti, la prima vittima fu proprio Luigi Gedda.
Primo colpo nel 1952, quando appoggiò una operazione di una alleanza tra Dc e destre per il Comune di Roma - operazione che fu fatta fallire (parole di Sturzo del 1959) "
dai comunistelli di sagrestia, da sinistri delusi, da impiegati nelle cento aziende di Mattei, dagli scrittori del Giorno".

"Il secondo colpo per Gedda fu quello fatale. Morto Pio XII nel 1958, con l'elezione di Giovanni XXIII, Gedda conobbe una progressiva eclisse. Il suo giudizio sulle scelte e sui toni di papa Roncalli non erano molti entusiasti. Finirono i tempi della mobilitazione. De Gasperi era morto già da quattro anni, e l'Italia era profondamente cambiata, era all'inizio del "miracolo economico". I produttori dovevano vendere, e i media diedero a loro un apporto non indifferente per far cadere tanti tabù degli italiani "timorati di Dio".

Infatti, il nuovo corso di Giovanni XXIII fu di apertura alle sinistre. Fanfani si diede da fare e nel 1963 crea il primo governo di centrosinistra presieduto da Moro. Gedda, che ricorda un passato tradizionalista, a quel punto deve essere messo da parte. I presidenti dell'Ac debbono essere uomini del "nuovo corso" pragmatico della DC. La metamorfosi delle associazioni cattoliche in "compagne di strada" dei comunisti non tarderà molto: Acli, Scout, Ac, scelgono il "primato dei poveri" e la "redenzione degli umili".

Nascono in questi anni le due tendenze del mondo cattolico: quella ufficiale dell'AC, aperta e forse sfondata a sinistra, come mostra il trionfo del modello dossettiano ("il bolscevico bianco") del cattocomunismo, nato e allevato proprio in AC; e quella del buon senso della maggioranza dei fedeli, indotta a continuare a votare DC "turandosi il naso" solo per la paura di quel comunismo, che non subito ma (aiutato da tangentopoli e dallo sfascio della DC) solo nel 1996 andò al governo insieme con gran parte dei dirigenti dell'AC.
 (sintesi di un articolo di Gianfranco Morra da "Libero" del 28 settembre 2000).

"Terzo colpo e altra sconfitta, quando Gedda fu richiamato in servizio nel 1972 al referendum per l'abolizione del divorzio. Toccò a Gedda, al vecchio combattente organizzarlo e... perderlo. Ormai non lottava più solo contro il vecchio nemico rosso, ma contro una parte non piccola della sua AC, che aveva assunto una posizione favorevole al mantenimento del divorzio ("cattolici del no"), primo passo per collocare i suoi esponenti nelle liste elettorali del Pci.
Fu la sua ultima sconfitta. E fu la sua ultima testimonianza di coerenza e di dignità. Perchè in questi ultimi impegni, più propriamente etico-religiosi, erano ben più importanti e validi di quello che profuse per far vincere la DC nel 1948". (Ib.)

"Nel 1948, Pio XII e Gedda conquistarono democraticamente il potere in Italia. Ma la DC, che da quelle elezioni emerse come forza incontrastata, non gliene fu grata. Se ci fu un uomo odiato da molti democristiani fu appunto Luigi Gedda. Si temette infatti che egli, capo reale del popolo cattolico italiano, potesse usare questa forza per insidiare il principio del partito democratico cristiano. Gli fu ostile De Gasperi, gli furono ostili la sinistra democristiana di Dossetti e Fanfani. Ma soprattutto, è il caso più singolare, egli ebbe ostili parti rilevanti dell'Azione cattolica: gli universitari cattolici, i laureati cattolici, tutta la rete che faceva capo a monsignor Giovanni Battista Montini, che pure era sostenitore dell'appoggio della chiesa alla DC, ma che voleva che fosse il partito, e non l'Azione cattolica, a ereditare la forza politica conquistata attraverso le elezioni"...."Gedda dovette subire l'ostilità interna all'Azione cattolica, fino al punto che la stessa Giac, con Carlo Carretto, lo abbandonò e abbandonò il Papa negli anni Cinquanta contribuendo così all'isolamento di Luigi Gedda. Il suo tempo era finito"...... " Di lui neanche la chiesa cattolica conserva un ricordo, non credo che egli sarà adeguatamente commemorato e la democrazia italiana non accetta di annoverare i Comitati civici di Gedda tra i suoi fondatori, appunto per la sua cultura laica".
 (articolo di Gianni Baget Bozzo da "Il Giornale" del 28 settembre 2000, commemorando Gedda)
Torniamo proprio al 1948, e a De Gasperi. Fin dall'inizio di questa mobilitazione cattolica, il clerico-moderato De Gasperi inizia ad avere aspri dissidi con Pio XII; non respinge il contributo di queste campagne elettorali, di tipo sanfediste, ma nemmeno vuole "uno smantellamento delle poche autonomie del laicato sopravvissute sotto Pio XI e un'attenzione spasmodica, multiforme, martellante, quasi ossessiva per i mezzi di comunicazione di massa" (ib. pag. 96), su cui Gedda e Pio XII hanno concentrato i loro sforzi e ne hanno fatto una direttrice di attacco.

E se De Gasperi non ha fiducia in Pio XII, Pacelli non ha fiducia nei partiti, anche se uno è ben saldo in mano a un cattolico e si chiama "Democrazia Cristiana". De Gasperi temendo di perdere lo scontro con le agguerrite legioni di Togliatti ( una possente macchina organizzativa - 2 milioni di iscritti, 36mila cellule, una galassia di sindacati, strutture organizzative, che ha aggregato 
attorno a sé altri partiti della sinistra, che organizza scioperi di massa, manifestazioni di piazza, quindi 
capace di assestare una spallata definitiva per gettare l'Italia verso Est. ) espresse alcune preoccupazioni; ma gli dissero al di là del Tevere, che non si doveva preoccupare "per l'elettorato ci penserà Gedda con le sue "Crociate del Grande Ritorno".
Pio XII insomma non crede nella DC come "partito cristiano" e le sue speranze di una vittoria sono riposte solo nei Comitati Civici. Questi dovrebbero risvegliare nel popolo 
il sentimento cristiano per renderlo capace di condizionare le vicende politiche.
Fino a quando questa collaborazione fu possibile la Democrazia Cristiana rimase piuttosto compatta, poi venne la moda di considerare 
l'assurda esistenza di una sinistra e di una destra all'interno del medesimo partito, la partitocrazia, il trasformismo e il crollo di ciò che la direttiva di Pio XII, Primate d'Italia, aveva creato. (l'assurdo sarà poi una realtà nel '94)

Infatti, accadrà, iniziando dal 1953-54, che non saranno più i Comitati civici a condizionare la DC, ma sarà la potente DC "partitocratica" a fagocitarli.
Di quelle elezioni del '48, Gedda sembrò, uno dei vincitori, ma il vero vincitore fu De Gasperi, e con lui i cattolici liberali, anche se i due non furono certo i maggiori protagonisti della vittoria elettorale della Democrazia cristiana (la testimonianza di Andreotti in questo senso è esplicita).
Non dimentichiamo le aspre requisitorie in USA, con Truman e la sua "dottrina", pronta ad intervenire ovunque, quindi anche in Italia, per sostenere la libera democrazia; infine Marshall (20 marzo 1948 - a un mese dalle elezioni del 18 aprile) minacciò di far cessare gli aiuti economici all'Italia nel caso di una vittoria elettorale di comunisti e socialisti.

Ma a parte gli aiuti, economici e alimentari 
"....l'immaginario collettivo della popolazione era rivolto al mito americano, mentre i due maggiori partiti della sinistra, facevano critiche a questo mito, talune giuste, ma non avevano da contrapporre idee sul modello da realizzare, e del resto la preferenza per il liberismo era diffusa anche tra i pochi economisti italiani che pur si riconoscevano nei programmi della sinistra".
 (Tranfaglia, La storia, l'Età contemporanea, 5 vol. pag 88, Garzanti).
"D'altra parte, Secchia, allora capo dell'organizzazione comunista, non nascondeva critiche alla posizione di Togliatti prevalente nel partito che pareva condannare i comunisti, in assenza di una scelta rivoluzionaria peraltro problematica per ragioni internazionali ma anche interne" 
(Ib. pag 89).

Prima ci fu la rottura dei governi di unità nazionale, poi alla coalizione centrista, e alla Dc in primo luogo si presentarono problemi politici di una certa gravità. Nel 1952 la Dc iniziò a perdere voti al Sud, ma anche al Nord i cattolici perdevano consensi a favore dei partiti della sinistra.
Le scomuniche che arrivarono dalla Santa Sede nei riguardi dei militanti comunisti, estese ai simpatizzanti socialisti, invece di allargare il suffragio ai democristiani, inasprirono i rapporti. Situazioni tese nelle fabbriche del nord, situazioni critiche nelle campagne del Sud.

Di fronte al pericolo di aprire la strada a una maggioranza della sinistra o a una situazione di ingovernabilità (nonostante l'apporto dei liberali, dei repubblicani, dei socialdemocratici) De Gasperi si trovò di fronte a forti pressioni della gerarchia ecclesiastica che lo invitavano ad aprire alle forze di destra.
Ma l' "Esperimento Sturzo" fallì clamorosamente.
"Nell’Operazione Sturzo, il Papa avrebbe voluto la costituzione di un’unica lista per le elezioni comunali romane fra tutti i partiti anticomunisti, e incaricò don Luigi Sturzo di condurre appunto l’operazione. Il Papa l'ideatore, Gedda come al solito l'organizzatore; pronto a mobilitare le sue legioni, e a far piovere dal cielo (milioni di manifestini dagli aerei) i "messaggi della fede".
"Ma Papa Pio XII e Gedda, che nel frattempo era diventato Presidente generale dell’ACI, dovettero subire il rifiuto di tutti i Presidenti dei rami dell’ACI, e cioè
 "[...] Carretto (Giac), Badaloni (Maestri Cattolici), Miceli (Gioventù Femminile) e Carmela Rossi (Donne Cattoliche), come pure la Fuci e i Laureati Cattolici; e questo perché l’operazione Sturzo coinvolgeva l’elettorato di destra. Soltanto Maltarello, presidente degli Uomini di Ac, si dichiarò favorevole" . 

"Gedda trova il Papa 
"molto triste" che "[...] osserva che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana" , che gli parla di "amare scoperte" , arrivando ad affermare che "l’Azione Cattolica, per la quale sono stati fatti tanti sacrifici, non è più nostra" .
"In questo periodo matura il "ribaltamento" del pensiero di Carlo Carretto — che il 17 ottobre 1952 rassegna le dimissioni — la cui trasformazione si deve soprattutto "[...] 
all’influenza degli uomini della Democrazia Cristiana che lavoravano per un’intesa con i comunisti, e in particolare a Giuseppe Dossetti" .
( L. Gedda, "18 aprile 1948". Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare).

Ad Alcide De Gasperi si diede la responsabilità di questa sconfitta, che infatti segnò la fine della sua lunga carriera (un anno prima della morte) e segnò il tramonto di quella coalizione di centro che resse l'Italia nella prima legislatura della repubblica.
Molti affermano che il cattolico ed antifascista De Gasperi fu proprio lui a dire di no al Vaticano ed all'anziano don Sturzo opponendosi all'apertura a destra. Il Vaticano non glielo perdonò mai ed il pontefice Pio XII non ricevette lo statista in occasione del trentesimo anniversario del suo matrimonio.

In effetti aria di fronda verso la DC c'era, visto che Gedda scriverà poi nelle sue "Memorie inedite" (Mondadori, Milano 1998) "
 "Gli chiedo (a Pio XII) se dobbiamo continuare ad appoggiare la Dc con i Comitati Civici ed Egli approva questo orientamento, ma consiglia di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta anticlericali"
.

E sappiamo che da quel momento, attraverso una lunga e difficoltosa transizione, la DC il maggior partito italiano, si muove, tra oscillazioni e incertezze, passi avanti e ritorni all'indietro, o verso l'incontro con una parte della sinistra ritenendo indifferibile una stagione nuova, di moderato riformismo. E più avanti, scomparso De Gasperi, concorreranno a determinare la direzione di quel processo prima di tutto fattori internazionali (destalinizzazione intrapresa da Kruscev), poi interni (ascesa di Papa Giovanni XXIII che si dedicherà più ai compiti evangelici e pastorali piuttosto che a quelli ideologici).

Nella DC degasperiana, molti nuovi emergenti personaggi iniziano ad occuparsi solo di se stessi, alcuni iniziano perfino a identificarsi con le stesse strutture della democrazia. Don Sturzo la battezza subito 
"partitocrazia". E criticando, criticando, diventa perfino un "rompiscatole"; ma sono critiche che dopo essere disceso nella tomba e a distanza di anni sono critiche di una grande modernità, o meglio sono delle profezie. E non aveva ancora visto nulla; lui infatti morì nel 1959.

Se nel '23 Mussolini lo aveva emarginato perchè lo temeva, nel '45 dopo il suo rientro, per le sue idee lo avevano preso per matto, un "rompiscatole", un "catto-comunista".
Persino La Pira giunse a dire che 
"tornando dall'esilio, Don Sturzo era rincretinito", solo perchè il prete ribelle - nel tentativo di creare in Italia una società 
cristiana e socialista, seguitò a fare nei suoi ultimi anni una durissima critica allo statalismo, al demagogico populismo, a bacchettare i politici in cerca del potere per il potere.

E con Don Sturzo, "
matto" era anche Dossetti (altro accusato di essere un "prete bolscevico") pure lui se non proprio emarginato, auto-emarginatosi perchè sdegnato: famosa la sua frase a un latifondista che si lamentava degli scioperi; "... ma chi spinge i braccianti a scioperare? I comunisti, o voi altri, col vostro sporco egoismo, col vostro desiderio di fare sempre più soldi sulla pelle degli altri?"


La DC in quel periodo è divisa in tre tronconi: con un centro destra moderato (ma immobile perchè sa di essere poco amato); con una sinistra che come i comunisti e socialisti bada alle istanze di giustizia sociale; ed infine un altro gruppo sempre di sinistra che però è impegnato essenzialmente a rovesciare i rapporti di forza interni al partito e a porre termine a quella che loro chiamano "dittatura degasperiana". Questa insofferenza verso il potere assoluto dell'uomo trentino era già emersa alla fine del 1948, quando a Pesaro Fernando Tambroni sbottò:
 "La Dc è in dominio e dittatura di 25 persone che si valgono dei richiami alla disciplina di partito per impedire manifestazioni di critica alle loro direttive"
.

Era il 28 luglio 1953. La DC non riuscì a trovare un accordo al suo interno, e faticò a dare una chiara indicazione; fece poi il nome del quasi anonimo Giuseppe Pella, un biellese garbato ma di doti non eccelse. Pella forma il suo governo che ottiene una fiducia con 315 si, 215 no, 44 astenuti. Ma dopo quattro mesi è già alle corde .

De Gasperi che in quel suo governo si aspettava almeno un ministero, quello degli Esteri, da Pella  non ebbe invece nemmeno un incarico, fu messo da parte. A settembre al consiglio della Dc lo nominarono segretario generale del partito.La stessa sorte più tardi toccherà a Fanfani, poi a Rumor, per finire con l'amareggiato Moro ( il suo discorso- "una carica che conta nulla!!" ) pochi mesi prima della sua eliminazione fisica.

A Napoli, nel giugno del 1954, De Gasperi interviene al suo ultimo congresso. Riafferma l'impegno democratico e popolare della DC e il più scrupoloso rispetto di tutte le libertà. Parla ancora una volta da grande statista. Ma il 19 agosto muore improvvisamente a Sella Valsugana. (fonte https://www.storiologia.it/biografie/degasperi2.htm)
Ernesto PreziosiToniolo: un confronto con Murri e Sturzo
Articolo pubblicato nella sezione "Libertà e democrazia nella cultura politico-giuridica italiana tra ’700 e ’800" :
In una conferenza del 1897, Giuseppe Toniolo offre un excursus circa i termini usati dai cattolici per indicare il loro programma sociale: «Il pubblico dapprima attribuì al programma dei cattolici la nomea insidiosa di socialismo cattolico; in breve, per l'antitesi logica di queste due parole, «per la contraddizion che nol consente» (Inferno, Canto XXVII, 120), invertendo le parole, si parlò di cattolicismo sociale e anche di partito sociale cattolico; infine una parte crescente di studiosi e operosi cattolici in più luoghi si compiacque d'intitolarsi della “democrazia cristiana”» (Toniolo 1947, p. 21).

Sul termine «democrazia cristiana»

Leone XIII nella Graves de Communi Re (1901) passa in rassegna le differenti denominazioni e rileva l'ambiguità presente nel nuovo termine introdotto inizialmente per distinguere la denominazione con «quelle di socialismo cristiano e di socialisti cristiani » (Leone XIII 1901, p. 386; cfr. Acerbi 1991). Considerazione che trova un’eco nella riflessione di Toniolo che, ad esempio, «traducendo la proposizione enunciata al Congresso di Bruxelles usa il termine “partito” anziché quello più generico di “unione” usato dal Chiaudano» (Toniolo 1901, p. 206; Chiaudiano 1897).
Nel testo del 1897 Toniolo delinea il concetto di «democrazia cristiana» come teoria sociale e prepolitica, anche se con logiche proiezioni sulla progettualità politica. Il cuore della teoria è la definizione di democrazia, che elabora sulla base del concetto di «partecipazione al bene comune». Partecipazione che, senza escludere il ruolo dei singoli, fa perno  sui corpi intermedi, sul lavoro e sul «peso partecipativo». Nei corpi intermedi infatti sono raccolti i singoli, in funzione del bene di tutti e a vantaggio delle fasce sociali più deboli. Da qui il grande equilibrio della definizione tonioliana richiamata, in cui «tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche» cooperano «proporzionalmente al bene comune», avendo come scopo principale l'agire a «prevalente vantaggio delle classi inferiori» (Toniolo 1947, p. 26). Con questa definizione della democrazia caratterizzata in senso «sociale» Toniolo prepara anche la futura azione politica dei cattolici. Risponde alla sua profonda convinzione del primato della società civile, e del protagonismo che essa è chiamata a esercitare, evitando di lasciarsi assorbire dalla funzione necessaria, ma pur sempre sussidiaria, dello Stato. Ed è anche a partire da queste acquisizioni che egli affronta la questione, dibattutissima nei primi anni del secolo, della «democrazia cristiana».Preme piuttosto evidenziare come a quei tempi fosse una scelta non da poco mettere la Chiesa di fronte a una responsabilità in ordine alle disuguaglianze presenti nella società, indicando il concetto di «bene comune» esteso agli uomini di qualunque condizione e classe, ponendo così i diseredati al centro di una riflessione e di una elaborazione di progetti e di proposte.
Il tentativo di Toniolo è quello di unire aspetti diversi, perché la democrazia cristiana possa essere accettata dalla Chiesa. Nel suo programma egli muove dai due significati storicamente attribuiti al termine « democrazia cristiana»: l’uno è «il fenomeno etico-sociale promosso da Leone XIII con la Rerum novarum e la Graves de communi re per attualizzare i doveri imposti ai cattolici» in conseguenza «della loro stessa scelta di fede » e per «promuovere l’armonia tra le classi e l’elevazione del quarto stato»; l’altro, che identifica il partito formatosi in Francia, Belgio e Italia per suscitare adesione «all’aspetto più propriamente politico» della democrazia. In tal modo, Toniolo - nota Pecorari - si adopera per «fondere in unità sincretica il primo e il secondo significato dell’espressione “democrazia cristiana”, sulla base di un metodo che potrebbe essere definito “culturale”, perché considera l’ortoprassi politica come una manifestazione dell’impegno teoretico» (Pecorari 1977, pp. 53-54). È una considerazione interessante che fa comprendere come l’azione in Toniolo non scada in attivismo ma è connessa con una elaborazione culturale.
Nel suo scritto progettuale sulla democrazia cristiana, inoltre, si manifesta il «pathos con cui egli lega la teoria sociale al messaggio evangelico della predilezione di Dio per i poveri. Su questa base, il suo concetto di democrazia ha una dimensione qualificante nel vantaggio che, da un tale sistema, deve essere garantito alle classi sociali più deboli» (Sorrentino 2008, p. 19). Vi è, quindi, una ispirazione profondamente religiosa che coinvolge un’idea di servizio nella Chiesa e nella società.
L’essenza della democrazia, scrive Toniolo, «è determinata dal fine, e consiste nella cospirazione del pensiero e delle opere di tutti gli elementi e gradi sociali al bene comune e proporzionalmente al bene prevalente delle moltitudini più bisognose di tutela e soccorso sociale» (Toniolo 1947, p. 52).  Il pensiero di Toniolo è interessante e attuale: vi è una sostanza che non sempre coincide con la forma della democrazia ma con il fine che si intende perseguire. Ed è questo che va messo in primo piano.

Per Toniolo quindi la democrazia, nelle sue varie versioni, si incarna necessariamente in un determinato regime o forma di governo. Essa va riconosciuta in quanto concetto etico-sociale, in quanto categoria prepolitica che rappresenta tutto ciò che, in vari modi, si fa per il bene comune: «Per meglio servire al bene comune dei cittadini», egli scrive «la costituzione fondamentale politica deve atteggiarsi alla costituzione sociale della nazione, ottemperando alle sue tradizioni e seguendone lo sviluppo storico successivo. Da qui il rispetto non solo delle private libertà civili, ma ancora di ampie autonomie locali, che lo Stato per il bene comune deve guarentire (sic) e integrare, non menomare e sopprimere» (Toniolo 1949, p. 178). Vi è quindi una articolazione che consente, in modalità diverse, a tutte le classi e le entità sociali di partecipare ai poteri dello Stato in modo da rappresentare e far valere proporzionalmente il bene di tutti. Le autonomie locali vanno riconosciute dallo Stato come realtà che integrano e garantiscono le funzioni.
Poco prima dell’uscita della Graves de communire di Leone XIII nel 1899, Toniolo scrive: «Noi vogliamo l’organizzazione graduale della società in associazioni professionali, autonome, generali e ufficiali. Lo Stato dovrebbe lasciare piena libertà e dare il riconoscimento giuridico alle Unioni professionali che sotto l’azione dell’iniziativa privata verranno formandosi» (Toniolo 1947, pp. 260-263). Per rendere possibile e concreta questa impostazione egli lavora intorno a un programma organico che copre i diversi ambiti dell’economia, della finanza, dell’istruzione, dei rapporti internazionali. Sono alcune delle idee intorno a cui nasce, negli anni a cavallo tra i due secoli, un vivace dibattito che anticipa e pone le premesse di quello che sarà l’impegno, anche politico, dei cattolici italiani.
Toniolo percepisce che vi saranno in proposito molteplici ostacoli: « vi sono degli elementi che possono far ben sperare circa il positivo sviluppo del futuro». Sul ruolo delle autonomie locali territoriali si trova in sintonia con quanto va elaborando don Luigi Sturzo. Sturzo, in una lettera del 1903 a Murri definisce: «Quella parte di movimento giovanile italiano che sente il bisogno di un profondo radicalismo» [L. Sturzo, Lettera a Romolo Murri (18 luglio1903), Bedeschi 1994, p. 214].

Il confronto tra Toniolo, Sturzo, Murri

Il tema considerato sarà oggetto, negli anni tra Otto e Novecento, di un confronto tra Toniolo, Romolo Murri e Luigi Sturzo. Un dibattito interessante che richiamo brevemente.
Sturzo entrò in contatto con Toniolo nel 1898. In una lettera, del 17 maggio 1898, scrive per avere consigli sulle problematiche dei lavoratori della terra che, nella sua Caltagirone, subiscono le vessazioni dei patti colonici.  (Toniolo, Lettera cit. in Malgeri 1973, p. 99. Sturzo pensa in proposito ad avviare una cooperativa di lavoro fatta attraverso azioni possedute dagli stessi agricoltori, ma non ritiene sufficiente questa soluzione. Chiede pertanto un consiglio a Toniolo, che è fuori dalle controversie isolane).
Luigi Sturzo deve molto all’insegnamento di Toniolo, nella sua prima fase di formazione, in particolare sull’idea di democrazia cristiana; anche se Sturzo sarà capace di dare a quella impostazione teorica caratteristica di Toniolo una applicazione particolare di concretezza nel contesto della organizzazione sociale e politica in Sicilia. «Se noi guardiamo attentamente - ha scritto Gabriele De Rosa - come si sviluppò nell’isola il fenomeno della democrazia cristiana, rileviamo subito che esso usciva, per così dire, dal quadro dell’atmosfera della «Cultura sociale». Il fenomeno, in parole povere, non si illumina dei problemi speculativi, che tormentavano il Murri, sulla cultura religiosa, sul rapporto cultura e pensiero moderno e religione, e nemmeno si attardava tra le ombre e le luci della difficile sociologia di Toniolo. La democrazia cristiana acquistò in Sicilia una forza, un fuoco interno dall’acutezza della questione meridionale, con la quale essa venne a contatto» (De Rosa 1958, pp. XXV-XXVI).
Si profila in quella stagione un dibattito destinato a tenere campo a lungo e che ormai in maniera sempre più esplicita non riprenderà solo il pensiero sociale, ma il progetto stesso di una presenza politica dei cattolici.
Tra Luigi Sturzo e Romolo Murri esiste un legame di amicizia che nasce nel fecondo clima caratterizzato dal dibattito delle idee e dal proliferare di iniziative editoriali. Sturzo collabora a La cultura sociale (cfr. Siciliano 1898, p. 94). Si tratta di una pagina di amicizia cui non è estraneo Toniolo. Il professore, infatti, è interlocutore, anche a distanza, dei due sacerdoti, come risulta da numerose lettere (cfr. Bedeschi 1994, p. 163).
Dibattiti, conferenze, corrispondenze giornalistiche segnano l’intensa stagione di una prima aratura sociale del Paese da parte dei cattolici.

Le critiche di Murri a Toniolo

Il rapporto tra Toniolo e Murri presenta aspetti interessanti ed è destinato a divaricarsi: un confronto talvolta aspro, reso ancora più difficile dall’irrigidimento della gerarchia romana, tanto che «il Toniolo e il Murri cominciarono a muoversi in direzioni l’una centrifuga all’altra». In anni precedenti Murri si era avvicinato a Toniolo ricevendone tutela. Tanto che sulla nuova rivista Cultura sociale ospita testi del professore pisano. La rottura del legame avviene nei primi anni del Novecento, tra il 1901 e il 1903. Scrive Ardigò che Murri «non ne accetto più l’egemonia moderatrice e sempre più ostile all’autonomia politica dei cattolici non autorizzata e anzi disapprovata da Leone XIII. E fra i due fu polemica aperta» (Ardigò 1978, p. 23). Murri rompe con Toniolo per un duplice motivo: da un lato «l’autonomia politica dei cattolici democratici era», a suo avviso, «ormai una necessita e discendeva dal riconoscimento dello Stato italiano come la sola espressione storica e naturale in cui le parti sociali in conflitto potessero essere mediate e in cui le crescenti forze popolari, socialiste e cattoliche in specie, potessero far valere adeguatamente il loro peso nella direzione della vita pubblica». Inoltre, Romolo Murri ritiene che «solo così si poteva essere interpreti delle aspirazioni ideali e pratiche delle nuove leve più aperte del mondo cattolico» (ibidem).
Quest’ultima preoccupazione è per Murri prioritaria e non manca di segnalarlo in una memoria a Leone XIII scritta nell’ottobre 1902: la mancata autonomia del movimento democratico cristiano, infatti, cosi come la condotta di molti cattolici, che danno alla democrazia «l’aspetto di semplice carità e patronato»; in tal modo riescono ad «attrarre a sé, con una scelta a rovescio, i passivi e meno atti – ai quali poi fanno indubbiamente del bene –, ma perdono sempre i migliori, i più svegliati e operosi, i quali, anche quando ebbero dai nostri la prima educazione, passano poi ai socialisti con incredibile danno» (Secco Suardo 1967, p. 316).
Murri critica l’impostazione sociologica di Toniolo, che considera come frutto di una scienza deduttiva e astratta, tale da non risultare significativa per le fasi più mature del suo pensiero. Murri muove poi a Toniolo un’altra accusa, quella di volere «riportare la società al Medioevo».
A dividere Toniolo e Murri è anche la visione di democrazia, vista ancora con sospetto da larga parte della gerarchia ecclesiastica. Anche Toniolo ha studiato intorno al concetto di “democrazia” mantenendolo però all’interno di un modello, in linea con il magistero di Leone XIII. Il punto di fondo e il passaggio dalla dimensione caritativa alla visione che lo stesso Leone XIII aveva ribadito nella enciclica Graves de communi re (18 gennaio del 1901): «Non sia poi lecito di dare un senso politico alla democrazia cristiana. Perché, sebbene la parola democrazia, chi guardi alla etimologia e all’uso dei filosofi, serva a indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo» (Leone XIII 1901, pp. 385-386).
Mentre Murri, nel programma democratico cristiano, parla di «democrazia, perché si vuole l’ordinamento della società in forma popolare, promosso dal popolo con le sue forze e la sua organizzazione; cristiana, perché si mette a base di ogni diritto, a guida di tutto il movimento e a termine di ogni benessere civile, economico e politico la religione di Gesù Cristo» (Murri 1901, p.17).
Il dibattito vivace prende però a un certo punto una piega che porta a incrinare i rapporti di stima. Il giudizio di Murri su Toniolo assume nei primi anni del Novecento i toni di critica che investono la stessa attendibilità dell’impianto scientifico del professore pisano: «Non di studioso che indaga, ma di sacerdote che proclama e impone», scrive Murri in un famoso articolo del 1903, pubblicato su Cultura sociale. E aggiunge: «Quella rapida rassegna di dottrine che Toniolo astrae dalla vita, schematizza, allinea e riassume in un ciclo gigantesco e uniforme, non è storia» (ibidem). Una critica radicale, come si vede cui si assocerà con qualche diffidenza Luigi Sturzo.

Le riserve di Sturzo su una critica che “divide”

Quando, nel 1903, Romolo Murri polemizzerà apertamente con il professore pisano, Luigi Sturzo non condividerà la sua presa di posizione per la durezza degli accenti usati da Murri e perché quella posizione suscita divisioni nella Chiesa, mettendo in pericolo il processo di rinnovamento da lui stesso avviato. Sturzo distingue la sua posizione, anche se esprime una sua critica. Certo, Toniolo ha formulato una «troppo felice e romantica concezione dell’avvenire sociale cristiano», ha elaborato una concezione astratta di sociologia, si è limitato a una prospettiva etica e, più ancora, si è mostrato poco aderente nelle sue analisi alle condizioni reali del Paese e ai suoi cambiamenti. E questo perché, scrive due anni prima, «economia e politica hanno dei nessi, delle ripercussioni naturali, delle combinazioni sintetiche; ed è opera vana il volerne disgiungere e disgregare le relazioni e i rapporti» (Sturzo 1901, p. 152). In sostanza è possibile criticare Toniolo, sembra dire Sturzo, ma non nelle modalità scelte da Murri.
In una lettera del 18 luglio 1903 Luigi Sturzo scrive con franchezza a don Romolo: «Allora approvai il tuo atto, ma oggi, a pensarci, lo trovo così poco prudente non nella sostanza, ma nel modo che ne sento rammarico». Sturzo lamenta il fatto che Romolo Murri non abbia tenuto conto delle reazioni: «La impressione della tua lettera è stata enorme, da per tutto; non in noi giovani, in coloro che ti conosciamo e ti amiamo; ma in tutti i refrattari, i dubbiosi, i timidi, gli ortodossi, i bigotti del movimento che han creduto in buona o mala fede (ma i più in buona fede) che siamo di fronte a un caso doloroso per la Chiesa come quello di Gioberti e di Lamnais (sic). Tu comprendesti, e fu bene, e rispondesti bene» [L. Sturzo, Lettera a Romolo Murri (18 luglio 1903), Bedeschi 1994, pp. 215-216]. Ma quando Murri rincara la dose con l’articolo La psicologia di un dubbio (Murri 1903, pp. 177-180), Sturzo prende le distanze, quell’articolo è «buono a destare il fanatismo e l’ipocrisia dei malevoli, e uno sdegno non ingiustificato di coloro, e sono molti, che apprezzano l’opera intellettuale di Toniolo».
Luigi Sturzo precisa ancora il suo giudizio: «La tua vuol essere una critica, ma non è né spassionata, né obiettiva. Scientificamente io sono stato del tuo avviso sin dal 1900 [In realtà, si tratta di una imprecisione d’anno. Invece in La Cultura sociale (1o maggio 1901), pp. 150-152. Nell’articolo citato L. Sturzo criticava – come si è visto – l’astrattezza della sociologia di Toniolo, il suo limitarsi a una prospettiva etica, e più ancora, la poca aderenza alle condizioni reali del Paese e ai suoi cambiamenti] quando timidamente sulla «Cultura sociale» azzardai chiamare troppo felice e romantica la concezione dell’avvenire sociale cristiano di Toniolo; è una critica severa, che mette a pari merito e demerito, che esamina le tendenze da un punto di vista molto alto senza il pettegolezzo dell’io», rivendica il sacerdote siciliano.
Per lui, quindi, e possibile criticare Toniolo e potrebbe essere «giovevole», ma le considerazioni di Romolo Murri sono a «critica severa (...) al fatto personale» e, continua Toniolo, «per me è riprovevole; e l’impressione comune è disastrosa». Per Luigi Sturzo, si è trattato di «colpo di testa» che, scrive a Murri, «oltre che fare male a te personalmente, che verso noi hai la responsabilità di un passato e di un altro futuro, fa male a quella formazione lenta di coscienze nei seminaristi fra i giovani, che si deve al nostro peculiare lavoro; il quale se e sospettato di murrismo, se aspira a libertà e guardato di mal occhio, anzi attraversato addirittura da un’inquisizione nuova» (Bedeschi 1994, pp. 215-216).
Come non sottolineare la lucida previsione di una necessaria «formazione lenta di coscienze»? In conclusione, Luigi Sturzo rimprovera Romolo Murri: «Senza volerlo, ci hai fatto del male (è cruda l’espressione e me la perdoni)» (ibidem).
Luigi Sturzo non resterà dunque nella scia di Romolo Murri. Per questo, limiterà in quel periodo la sua attività al campo tecnico dell’organizzazione cooperativa e sindacale e a quello elettorale municipale (era già prosindaco e consigliere provinciale, oltre che consigliere generale dell’Associazione dei comuni italiani). Il dibattito sulla democrazia cristiana e in qualche misura parallelo alla esigenza di costituire un partito cristiano (cfr. Preziosi 2020). Progetto che non si realizzerà sotto il pontificato di Leone XIII così come durante il pontificato di papa Sarto, quando una simile prospettiva di organizzazione politica, sul modello del “Zentrum” tedesco (cfr. Vecchio 1987, pp. 19-43), verrà ritardata e ci si avvierà per la strada di una collaborazione con i liberali, attraverso deroghe date dai singoli vescovi diocesani.
Ciò avverrà, come è noto, in più riprese dal 1904 al 1913, quando si avrà il “Patto Gentiloni” (cfr. Formigoni 1988).
La rottura che avviene tra Murri e Toniolo ha conseguenze notevoli per il Movimento cattolico e creerà disagio nelle file della democrazia cristiana murriana. Ha sintetizzato Scoppola: I «democratici cristiani da tempo auspicavano un inserimento dei cattolici nella vita politica del Paese, ma pensavano a un inserimento di tipo diverso, sulla base del loro programma di rinnovamento sociale e non a rimorchio - per così dire - del liberalismo» (Scoppola 1977, pp. 103-121; 103-104). Dopo la rottura con Toniolo, Murri, come è noto, darà vita a Bologna nel 1905 a una Lega democratica nazionale. In qualche modo egli dà così continuità, attraverso una rottura, all’intuizione di un necessario impegno politico dei cattolici, anche se non più nelle forme immaginate da Toniolo quando si riferisce alla democrazia cristiana, e senza sacrificare «quel primato della riforma sociale che è l’ultimo ricettacolo dell’intransigenza nei confronti dello Stato liberale» (Ardigò 1978, p. 24).
Gabriele De Rosa, da parte sua, ha sostenuto che Toniolo «fu l’espressione di un dramma, il dramma dell’intransigenza cattolica che, messa a confronto con i nuovi compiti economici e sociali di uno Stato moderno, credette di poterli risolvere dilatando le responsabilità dirette dalla Chiesa» (De Rosa 1966, pp. 355 e ss.; Perini 1975, pp. 94-127). Una critica severa, in parte ingenerosa, che rivela però come il dibattito su cattolici e democrazia abbia radici lontane, porti a rotture e separazioni, anche se si potrebbe notare che allora avveniva fra esponenti di livello. Questo confronto avrà per così dire un’appendice negli anni Trenta.

Una riflessione postuma di Sturzo su Toniolo

Nel tracciare un ricordo di Giuseppe Toniolo a diciotto anni dalla sua scomparsa sulla rivista «Blackfriars», il sacerdote siciliano formula la seguente sintesi: «Esemplare nella vita privata, nella famiglia, nella cattedra, nell’apostolato; profonda la sua pietà, visibile lo sforzo di mantenersi padrone di sé stesso. La devozione verso la Santa Sede fu fatta di convinzione e di umiltà. Soffrì assai dell’incomprensione di molti e degli intrighi contro di lui; mai un lamento. La sua vita fu sempre modesta, dedita agli studi e alla meditazione» (Sturzo 1984, pp. 250-258).
Il saggio del 1936 è di notevole interesse non solo per i riconoscimenti del profilo umano. Sturzo ricorda come in Italia il nome di “democrazia cristiana” fosse apparso per la prima volta nel 1885 in un volume, Di un socialismo cristiano di padre C.M. Curci, anche se il merito di far entrare nell’uso corrente, qualche anno più tardi, l’espressione è da attribuirsi al belga A. Verhaegen.

In qualche modo, a consacrarla sarà Leone XIII parlando a degli operai francesi in pellegrinaggio a Roma, nel 1897, quando dira: «Io benedico la democrazia cristiana». Dello stesso anno è l’articolo di Toniolo sulla «Rivista internazionale di scienze sociali», intitolato Il concetto cristiano della democrazia, edito di lì a poco anche in Francia. Scrive ancora Sturzo: «Alla media dei cattolici francesi destano ancora qualche ricordo: La Tour du Pin, Leon Harmel, l’abbe Naudet, Loria... la Democrazia cristiana. Strano! Questo nome, che quarant’anni fa ci faceva palpitare pieni di speranze, e che destava tanto odio e risentimento nei buoni cattolici conservatori, questo nome oggi dice ben poco alla novella gioventù. È proprio così?... E, se è così, tornerà più a parlarsi di Democrazia cristiana?» (ivi, p. 250).
Nella visione di Sturzo, che scrive dall’esilio, l’importanza di Toniolo, anche a distanza di anni, sta nel fatto che il professore si presenta «fin dall’inizio della sua carriera come colui che tenta una sintesi fra le due scuole, superando gli elementi contraddittori e piazzandosi sopra il terreno sodo della concezione dell’uomo integrale. Le scuole, individualista, classica e neoclassica, fondavano l’economia sulla concezione dell’uomo individualmente preso, trascurando, più o meno, il suo carattere intrinsecamente sociale. Dall’altro lato, la scuola sociologica, quale si era venuta formando in Francia con il positivismo e in Germania con l’idealismo hegeliano, trascurava l’individuo o, meglio, assorbiva l’individuo nella società». Occorre, conclude Sturzo mostrando di aver assimilato la lezione di Toniolo, «ridare all’uomo il suo duplice e indissolubile carattere individuale e sociale. Come vivente, l’uomo e sintesi storica, ma come razionalità operante nella storia, anche a scopi economici, l’uomo è sintesi etica» (ivi, p. 254).

Sturzo nel ripensare, pochi anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, a quella lezione e visione dell’economia, che a suo avviso può essere definita come un’economia “etico-sociologico-storica”, ritiene anche che non sia utile aggiungervi l’aggettivo “cristiana”. È ormai maturo l'atteggiamento di laicità che renderà pregevole, originale,attuale e necessario il suo pensiero.
Scriverà Sturzo in proposito: «Tale aggettivo non si adatta all’economia come scienza, perché non c’è di fatto un’economia cristiana o una politica cristiana, come non c’è una storia cristiana o una sociologia cristiana. Il cristianesimo è essenzialmente una religione, che come tale informa l’etica e influisce nella vita storica, sociale, economica e culturale dei popoli, ma non può assumere il carattere di scienza come tale.  L’economia dei Paesi cristiani, storicamente guidata, è influenzata dal pensiero cristiano. Tale influenza non può essere che etica, cioè basantesi sui valori morali dell’uomo-cristiano» (Sturzo 1984, p. 254).
Sono solo alcuni richiami ad un dibattito che sta all’origine dell’impegno politico dei cattolici (cfr. Preziosi 2012; sul pensiero economico di Toniolo, Sorrentino 2021).
A Toniolo è essenzialmente estranea l’idea di partito in senso moderno, «sia per una fondamentale diffidenza di ordine teorico verso la categoria stessa di partito, sia per considerazioni di ordine contingente, riferite cioè alla specifica realtà italiana di fine Ottocento ». Ciò non di meno Toniolo può essere considerato a pieno titolo in quella storia ideale del “cattolicesimo democratico” che nasce già in Francia nei primi decenni dell’ottocento «con gli abhés démocrates e che ha poi trovato la sua legittimazione anche in successivi documenti della Chiesa, sia pure soltanto (secondo l’interpretazione più autorevole) con i radio-messaggi natalizi degli anni di guerra di Pio XII» (Campanini 2014, pp. 359-360).
Note tratte dal dibattito tra protagonisti di un Movimento cattolico che puntava sulla cultura per favorire la presenza dei cattolici nello stato unitario. Frammenti di una stagione lontana nel tempo che può essere utile rivisitare.

Bibliografia

Ed oggi, nel 2023 è tutto un problema politico che si trascina da tempo . Alcuni partiti si basano su ideali cattolici e convergono principalmente ad un centro moderato che deve schierarsi sotto un nome ed un partito a destra e sotto un altro nome a Sinistra. Il credente ed il cattolico che vuole fare politica ed anche governare deve fare una scelta . Negli ultimi anni alcuni ideali sono stati sommersi dal populismo e da cattiva politica non basata su veri ideali. Ecco perchè in parte ci si ferma ad Aldo Moro e Sergio Mattarella.Ci si augura tempi migliori,tempi di veri statisti.

1 - "Uno spartito senza un partito. A Rimini il piano B dei cattolici "di Marco Damilano 24/8/2023 Meeting di Rimini - Un gruppo di intellettuali presenta oggi un manifesto a uso dei cattolici rimasti senza una casa politica. Uno dei fili conduttori è la critica al leaderismo: eppure i leader servono, come mostrano Zuppi e Mattarella.

2 - Sembrava Palazzo Chigi, era il Meeting di Comunione e Liberazione. La kermesse di Rimini vede ogni anno una pattuglia sempre più nutrita e sempre più variegata di ministri e parlamentari.

(Ingrid Colanicchia 

 

"Fate che speranza ed amicizia corrano sulle vostre gambe e si diffondano attraverso le vostre voci". Cos

Due articoli tra tanti che fanno riferimento a Comunione e Liberazione

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