Pier Giorgio Taneburgo

 

 

«UN SAMARITANO ERA IN VIAGGIO» (cfr. Lc 10,33)

IL BEATO GEREMIA IN TERRA ROMENA

 

 

 

1. Cenni di vita santa

Il giorno 10 maggio 2008 hanno fatto tappa nella parrocchia-santuario di S. Fara in Bari le reliquie del beato Geremia da Valacchia (Ion Stoica, 1556-1625), mentre ritornavano in Romania. A Bari, prima ancora d’essere frate cappuccino, era stato in contatto con le famiglie del celebre medico Lo Iacono e del farmacista Cesare Del Core. Ora si è compiuto all’inverso il tragitto che egli fece negli anni giovanili, partendo dal suo minuscolo villaggio nell’Est Europa, nell’attuale Moldavia. Circa tre anni di peripezie, prima di entrare tra i Cappuccini della Provincia di Napoli. Si distinse per l’amore ai frati ammalati e per la dedizione ai poveri, nel poco tempo che gli restava libero. Anche persone dotte cercavano il “fratello laico” analfabeta, che parlava un miscuglio strano di italo-romeno-napoletano. Papa Giovanni Paolo II lo beatificò nel 1983, anno del Giubileo straordinario della Redenzione. Ha riposato sinora nella chiesa dell’Immacolata Concezione a Piedigrotta, Napoli. La Custodia dei Frati Cappuccini di Romania, nata l’8 maggio 2005, è sotto la sua protezione.

La memoria del beato Geremia cade il giorno 8 maggio, per ricordare la sua vestizione religiosa (avvenuta a Sessa Aurunca, 1578) e la sua prima professione (1579). Nel cammino di ritorno in Patria il beato Geremia ha fatto tappa a Pozzuoli, presso il convento dove iniziò la sua avventura di fratello infermiere; Sant’Eframo Vecchio, a Napoli, ove venne accolto per la prima volta tra i frati cappuccini; a Bari S. Fara, Dubrovnik (l’antica Ragusa in Croazia), Timişoara, Bucarest (nella cattedrale di San Giuseppe), Iaşi, Alba-Iulia, Sibiu, Braşov ed altre comunità sotto la sua protezione. Dalla fine del mese di maggio 2008 il Beato ha una nuova collocazione nella cripta del grande santuario costruito ad Oneşti, città a 200 km. da Iaşi. Lì, nel 1991, incominciò una presenza ecumenica stabile, legata ai frati cappuccini romani[1].

 

 

2. La Parola del Signore sulla carità

Per penetrare il messaggio di fra Geremia, adoperiamo gli strumenti della liturgia e della spiritualità, grazie alle indicazioni che la Chiesa e l’Ordine dei Cappuccini continuano ad offrire.  Diamo uno sguardo, anzitutto, alle letture proposte per questa memoria dal Lezionario per le Messe proprie dell’Ordine dei Frati Cappuccini. Pubblicato ad uso privato dalla Postulazione Generale, risale al mese di luglio 2006[2].

La I lettura è presa dalla prima lettera di Giovanni apostolo, nella pericope 3,14-18. Si tratta di uno di quei contesti dai quali si evidenzia la teologia dell’amore come fondamento del senso e del contenuto di tutto il corpus johanneum. «Siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli». Esprimere nelle vicende dell’esistenza terrena la forza consapevole o meno di un amore continuo, afferma Giovanni, significa risorgere quotidianamente. Il passaggio che sostiene e offre speranza al cristiano che lotta contro il male e la morte è proprio quello compiuto nell’invincibile amore, a imitazione dell’amore riversato su noi da Dio. «Non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità». Si richiede continuamente di passare dalla teoria alla prassi, poiché il discorso con sole parole non ha la forza di cambiare il mondo. Il pensiero va facilmente e immediatamente alla raccomandazione paolina di vivere «secondo la verità nella carità» (Ef 4,15). Se viene osservata quest’indicazione, ogni  intenzione ed ogni buon proposito avrà la fortuna di tradursi in opera concreta di carità e noi cresceremo - spiega l’Apostolo - «in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo».

Il beato Geremia non perse effettivamente nessuna occasione per mettere al posto delle aspirazioni migliori un tappeto di gesti d’amore premuroso. Dalla teoria alla pratica per lui il passo fu breve. Tutta la sua giornata si distese per agevolare il cammino dei fratelli che gli erano prossimi. «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). La familiarità con Dio chiede stessa unione col Figlio suo Crocifisso. Conoscere l’amore è possibile attraverso la meditazione del Vangelo, della povertà e del silenzio di Betlemme come del sacrificio del Golgota. E poi c’è lo strumento efficace della preghiera, che tiene ogni energia, ogni pensiero ed ogni gesto sempre rivolto verso l’alto e in quelle altezze aiuta a rimanere. Nelle pagine dell’avventura di Cristo si realizza un sillogismo sconcertante e profondamente autentico, esigente: consegnando Cristo la vita pro nobis, ci tocca in modo improcrastinabile consegnare noi stessi pro fratribus. Le ricchezze facilmente impediscono il dimorare dell’amore divino nell’anima credente. Ogni consacrato che osservi diligentemente il voto di povertà si trova provvisto di un’ala capace di renderlo più leggero e spingerlo incontro ai fratelli nel bisogno. Questa spinta immancabilmente dice innalzamento fino al Cielo ovvero all’essere-in-Dio, il dimorare nell’amore trinitario, che è un tema tipico della riflessione giovannea (cfr. Gv 15,5.9-10; 17,6.21; 1Gv 2,6).

Il salmo 113 con il versetto «Sia benedetto il nome del Signore ora e sempre» si snoda come un invito alla lode perenne del Signore da parte dei suoi servi. Non ci sono affatto limitazioni di tempo nel sacrificium laudis, poiché «dal sorgere del sole al suo tramonto» può essere «lodato il nome del Signore», senza evidentemente escludere nemmeno le ore del sonno. Il giro intero del sole che percorre la volta celeste nella mens cosmologica ebraica e nella fiducia orante del salmista abbraccia anche il tempo notturno. Altrove, difatti, si legge sulla fiducia nella Provvidenza e la vanità d’ogni fatica non fatta nel nome di Dio: «il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» (Sal 126,2). La totale alterità del Signore «che siede nell’alto» e la cui gloria è «più alta dei cieli» viene colmata dalla sua condiscendenza e vicinanza all’umanità. Mai questa risulta essere una prossimità inaspettata, semmai invece prevedibile e amabile, visto che sempre egli «si china a guardare nei cieli e sulla terra».

L’ultima strofa del salmo è un inno magnifico alla carità, come un’anticipazione o un assaggio veterotestamentario del canto insuperato dell’Apostolo Paolo in 1Cor 13. «Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo»: il nuovo ed incredibile posto riservato ai poveri è di fianco ai notabili e ai grandi della città. Sicuramente anche fra Geremia contribuì a far sentire ammalati e poveri di beni in una condizione diversa da quella in cui la società napoletana li aveva sempre relegati. In quel contesto sociale, come tutti sanno, continuano - oggi come ieri - le sfide al bene comune e il grave disagio sociale, che purtroppo fanno rimbalzare in modo negativo l’immagine dei partenopei in ogni angolo del mondo. Alla ricerca di uomini e donne della carità, gli unici eroi che servirebbero, in grado di rialzare i poveri dall’immondizia.

Il canto al Vangelo parla dei due grandi amori del cuore umano, ben descritti dal dottore della legge del capitolo 10 del vangelo di Luca. Si tratta di un insegnamento tipico e vincolante per il pio israelita, come si evince dal contesto di Dt 6,5; Lv 19,18 e 18,5.

Il brano della Parola del Signore, infine, è la parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37). Il beato Geremia, «che era in viaggio» da molto tempo, non poteva somigliare al sacerdote e nemmeno al levita del racconto. Fu assai più simile all’abitante della Samaria, come lui straniero fra la gente che lo circondava, di diversa lingua e diversa cultura. Innumerevoli volte ebbe occhi aperti e mani premurose e cuore attento verso i fratelli nella necessità. Desiderò curarli come solamente una mamma avrebbe potuto e saputo fare. Fra Tommaso da S. Donato, uno dei suoi amici spirituali più intimi, lasciò questa testimonianza:

Fra Geremia era infiammatissimo di carità verso il prossimo e zelantissimo della sua salvezza. E questo amore, che portava al prossimo, nasceva da quello grande amore che portava a Dio benedetto. Con molta prontezza senza essere richiesto, aiutava gli altri frati e mai frate che cercava qualche cosa, non procurasse dargli compita soddisfazione. Quando occorreva, lavava non solamente gli habiti delli frati infermi, ma anco delli frati sani. Infine pareva che si volesse sviscerare, non solo in usare questa carità verso li frati, ma anco con li secolari, senza fare eccezione di persona alcuna[3].

 

 

3. Eucologia per riflettere

Utilissimo è anche considerare in questa nostra riflessione l’insieme di preghiere, che la liturgia propone all’assemblea riunita per il sacrificio eucaristico nella memoria del beato Geremia. L’Antifona d’ingresso recita: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Alleluia» (Mc 10,45)[4]. L’acclamazione dell’alleluia, poi reiterata, ha un sapore tutto pasquale, giacché proprio nella cinquantina di Pasqua si celebra il ricordo del fratello Beato. L’avvio che ad esso viene riservato mediante tale antifona è quello della chiara lezione d’umiltà offerta da Gesù, in occasione dell’impossibile domanda dei figli di Zebedeo, riguardante la loro collocazione futura nella sua gloria (cfr. Mc 10,37). Chiunque segua deliberatamente il Figlio dell’uomo dovrà mostrare di sapere che i capi servono e che la minorità è via sicurissima al Cielo. Una servitù che prepara e rende plausibile anche il dono della propria vita a vantaggio di tutti.

La preghiera di Colletta è così composta: «Padre misericordioso, che hai concesso al beato Geremia di imitare il tuo Figlio nel servizio dei fratelli sacrificandosi interamente per essi, concedi a noi, sul suo esempio e per sua intercessione, di percorrere l’evangelica via dell’umiltà e della carità per collaborare al tuo disegno universale di salvezza. Per il nostro Signore…».

Qui si nota il tipico movimento della preghiera liturgica: invocazione a Dio Padre, autore di meraviglie di grazia nel testimone di vita cristiana; richiesta attraverso la sua intercessione; obiettivo ultimo e conclusivo dell’assemblea orante; sostegno-percorso trinitario dell’orazione. L’imitatio Christi è possibile solamente nel benevolo e provvidenziale disegno divino, sicché proprio in essa si realizza la vocazione alla santità di ciascuno. La Colletta rammenta che, fra i vari aspetti del mistero della vita di Cristo, il Beato privilegiò proprio il servizio reso generosamente e diuturnamente  ai fratelli. Poveri nella salute e poveri di beni materiali, senza mai dimenticare che la massima povertà è l’ignoranza spirituale.

Quanti invocano Dio Padre con quelle parole riconoscono l’importanza di instradarsi su di un percorso virtuoso, lastricato anzitutto di umiltà e carità. Tornano in mente a questo proposito le raccomandazioni del salmista: «Ascoltino gli umili e si rallegrino» (Sal 34,3). Un cuore semplice e mite s’apre più facilmente all’altro e alla gioia della condivisione, anche solo di un brandello di vita. Si tratta di percorsi praticabili verso una possibile civiltà dell’amore, come la sognò anche fra Geremia nella difficile realtà napoletana, a cavallo tra XVI e XVII secolo. «Collaborare al disegno universale di salvezza» di Dio: questo lo scopo del cammino fatto in modo sinodale con i fratelli. Poiché è sempre vero che ci si salva insieme e non da soli. E possiamo concretamente divenire collaboratori d’un progetto che mai verrà completato se non nell’éskaton.

Segue la formulazione della preghiera Super oblata: «Accogli i nostri doni, o Padre, in questo memoriale dell’infinito amore del tuo Figlio, e per l’intercessione del beato Geremia confermaci nella generosa dedizione a te e ai fratelli. Per Cristo nostro Signore». Qui ci si riferisce alla dimensione attualizzante del sacrificio eucaristico, avente per causa efficiente l’amore di Cristo, come materia sacrificale le offerte del pane e del vino e come effetto la nostra salvezza. Ritorna evidentemente la menzione e più ancora l’opera di mediazione del Beato, intervento continuamente sperato ed invocato del fratello vivente in Cielo in favore dei viventi in terra.

Il versetto di Mt 19,29 costituisce l’Antifona alla comunione: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Alleluia». In questo lasciare ogni persona o bene materiale per il nome di Gesù sta uno dei segreti della potenza della vita consacrata, che si misura e delinea nella radicalità della scelta e nell’intensità degli affetti. Sta qui sicuramente l’eccedenza della risposta di Dio, che mediante una resa centuplicata non si lascia vincere da nessuno in generosità. Qui si respira anche l’atmosfera dell’emigrazione, con i suoi presupposti, gli immancabili problemi e disagi, di cui il Beato indubbiamente fu un esperto conoscitore. Forse alcuni giorni vittima, altri giorni padrone e risolutore.

Negli occhi innocenti di fra Geremia c’era il riflesso delle sconfinate pianure della sua patria terrena, cui egli pensava con filiale tenerezza. Ma non era un estraneo in terra d’Italia. Il popolo napoletano, squisito nei suoi giudizi ed entusiasta nelle sue simpatie, amò in vita e in morte questo suo figlio di adozione[5].

In maniera così tanto ispirata si espresse il beato Giovanni XXIII, il Pontefice che aveva conosciuto da vicino la realtà dell’Europa Orientale, essendovi vissuto per tanti anni, quando proclamò l’eroicità delle virtù del frate romeno, il 18 dicembre 1959.

Fra Geremia insegna che il Cristo rimane straniero sul legno della croce sino alla fine dei tempi, dando dignità estrema, sprone di carità e urgenza impellente alle parole del suo invito: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35). All’alba del terzo millennio cristiano le domande e le speranze di tanti emigranti potrebbero trovare una risposta credibile nella vita di fra Geremia, proclamato magari loro speciale Protettore[6]. Sempre la Chiesa cerca di farsi carico delle sofferenze e dei disagi di coloro che sono costretti per motivi politici o di lavoro, salute, studio a lasciare la propria terra, divenendo mendicanti d’accoglienza. Commentando il versetto «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (At 4,11), il vescovo profeta di pace, Mons. Tonino Bello, così si esprimeva in un suo scritto, datato 25 marzo 1990:

Drop out siete anche voi, stranieri alla deriva (…) Per voi ho scritto questa lettera, che certamente non leggerete. Ma spero tanto che qualcuno ve ne racconti il messaggio. E vi dica che un altro prima di voi, Gesù di Nazareth, è stato considerato «pietra di scarto», anche lui, dai costruttori[7].

Ultima preghiera della liturgia del giorno 8 maggio è quella Post communio: «O Padre, che ci hai fatti tuoi commensali, donaci di imitare l’esempio del beato Geremia, che si consacrò a te con tutto il suo cuore e si prodigò instancabilmente per il bene del tuo popolo. Per Cristo nostro Signore».

 

 

4. Il culto delle reliquie

Non si può omettere una pur minima riflessione sul significato che le reliquie di un beato (o di un santo) e le spoglie mortali di un servo di Dio hanno nella tradizione storica e nella devozione popolare delle comunità cristiane. Tutti sanno quale importanza esse rivestano lungo i secoli nel cammino fatto dalle Chiese. In riferimento alla storia della Chiesa cattolica e al suo Magistero proviamo a considerare quattro pronunciamenti di rilievo, avutisi in momenti diversi: il concilio Niceno II, il concilio di Trento, il Catechismo del 1992 e l’Istruzione Sanctorum Mater della Congregazione delle cause dei santi (17 maggio 2007).

Nel Niceno II, il VII concilio ecumenico (787), si volle solennemente ribadire la dottrina ecclesiale sulle immagini sacre dopo un secolo tribolato, caratterizzato nell’impero bizantino dall’iconoclasmo. La definizione fu concordata nella 7a sessione e solennemente proclamata nella successiva, il 23 ottobre 787:

(…) quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione [latria], riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto.

(…) Chi oserà pensare o insegnare diversamente, o, seguendo gli eretici empi, violerà le tradizioni della chiesa o inventerà delle novità o rifiuterà qualche cosa di ciò che è stato affidato alla chiesa, come il Vangelo, la raffigurazione della croce, immagini dipinte o le sante reliquie dei martiri; chi immaginerà con astuti raggiri di sovvertire qualcuna delle legittime tradizioni della chiesa universale; o chi userà per scopi profani i vasi sacri o i venerandi monasteri, noi decretiamo che, se vescovo o chierico, sia deposto, se monaco o laico venga escluso dalla comunione[8].

Si noti la chiarezza della definizione, appoggiata anche su quello che viene ritenuto un passo classico per la venerazione delle immagini sacre, dal De Spiritu Sancto di Basilio Magno: l’onore dell’icona appartiene al prototipo[9].

Circa otto secoli dopo, il 3 dicembre 1563, durante la 25a sessione del concilio Tridentino, sotto il pontificato di Papa Pio IV che lo concluse, fu approvato un decreto sull’invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi e sulle immagini sacre. Vi si legge:

Sanctorum quoque martyrum et aliorum cum Cristo viventium sancta corpora, quae viva membra fuerunt Christi et templum Spiritus Sancti [cf. 1Cor 3,16; 6,15.19; 2Cor 6,16], ab ipso ad aeternam vitam suscitanda et glorificanda, a fidelibus veneranda esse, per quae multa beneficia a Deo hominibus praestantur.

Si dovrà ancora insegnare che i fedeli devono venerare i santi corpi dei martiri e degli altri che vivono con Cristo, corpi che un tempo erano membra vive del Cristo stesso e tempio dello Spirito Santo [cf. 1Cor 3,16; 6,15.19; 2Cor 6,16], e che saranno da lui risuscitati per la vita eterna e glorificati, per mezzo dei quali Dio concede agli uomini molti benefici[10].

Di fronte alla relativizzazione della cerchia dei santi, delle immagini sacre e delle reliquie operata dalla Riforma protestante, i Padri conciliari non potevano non collegarsi alla tradizione più antica della Chiesa, che usava già «venerare i santi corpi» delle sorelle e dei fratelli martirizzati. E dunque, l’esito finale fu ancora una volta all’insegna dell’anathema sit, ovvero la condanna reiterata di «quelli che affermano che alle reliquie dei santi  non si deve né venerazione né onore».

Il viaggio del beato Geremia si è compiuto in un’urna fatta preparare per l’occasione a Napoli, contenente una parte dei suoi resti, già esumati in occasione dell’evento della beatificazione. Dunque, un nuovo simulacro che ritrae il frate giacente in posizione supina e ci spinge a dare gloria a Dio per i prodigi di grazia che di continuo sa compiere, sia nella dimensione spirituale ed invisibile, sia in quella corporale e tangibile dei suoi santi, rappresentata appunto dalle loro ossa, intere o in frammenti. L’esistenza illuminata dalla santità non riverbera solamente sull’anima del santo, ma anche sul suo corpo. Non sarebbe possibile qui menzionare le grandi polemiche che hanno accompagnato la riesumazione ed ostensione delle reliquie di San Pio[11]. Sarà sicuramente utile trarre lo spunto da una prassi di origine antichissima per la catechesi ai ragazzi e agli adulti ed un contenuto di fede chiaro da diffondere capillarmente tra loro mediante l’insegnamento della religione cattolica, la predicazione, i mezzi della comunicazione sociale.

In terzo luogo, ci sono alcuni paragrafi del Catechismo della Chiesa Cattolica che sarà bene ricordare. Siamo nella parte II, La celebrazione del mistero cristiano; la II sezione, dedicata ai sette sacramenti, comprende 4 capitoli. L’ultimo tratta delle celebrazioni liturgiche diverse dai sacramenti veri e propri, com’è il caso dei sacramentali (art. 1) e delle esequie (art. 2). A mo’ di completamento dell’art. 1 viene affrontato l’argomento della religiosità popolare:

1674. Oltre che della Liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che circondano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la «via crucis», le danze religiose, il rosario, le medaglie, ecc.

1675. Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma non la sostituiscono: «Bisogna che tali esercizi, tenuto conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano» (Sacrosanctum concilium 13).

Qui viene recuperata la lezione del Vaticano II col dettato della costituzione sulla santa liturgia.

Infine, di recente la competente Congregazione romana ha promulgato un’Istruzione, che rappresenta il nuovo testo di riferimento per lo svolgimento delle inchieste diocesane o eparchiali nelle cause dei santi. S’intitola Sanctorum Mater, è suddivisa in sei parti e ha un’Appendice dedicata alla Ricognizione canonica delle spoglie mortali di un servo di Dio. Il titolo IV verte sul loro trasferimento e dice:

Art. 9 - § 1. Per rendere le reliquie di un beato o le spoglie mortali di un servo di Dio più accessibili alla devozione del popolo di Dio, può verificarsi l’opportunità di trasferirle in maniera definitiva da un luogo a un altro (ad esempio, da un cimitero a una chiesa o cappella) [12].

Non sfugge nemmeno all’osservatore disattento quanta cura e pietas esprimano i fedeli ortodossi nel momento - per loro sempre speciale - della venerazione di qualunque reliquia. In Romania il Beato riceverà sicuramente un tributo spontaneo d’affetto e preghiere, capace di provocare un ulteriore contatto fra le Chiese cristiane nelle specifiche forme dell’ecumenismo visibile. Tanto da essere incoraggiati a sperare che, intercedente lui, il Signore non vorrà negare numerose grazie a quel popolo, in modo da aprirsi rapidamente la strada per la canonizzazione.

 

 

5. Un invito all’unità

Oggi, comprensibilmente, viene spesso rievocata la visita in Romania di Papa Giovanni Paolo II (maggio 1999), quando di fronte a Sua Beatitudine Teoctist, Patriarca della Chiesa ortodossa romena, scomparso il 30 luglio 2007, i due si scambiarono un generoso, sincero abbraccio di pace. La gente riunita in piazza a Bucarest gridava ad una sola voce: «Unitade, unitade!». I cristiani sono stanchi delle divisioni e vorrebbero tanto parlare una lingua comprensibile a tutti, dal contadino al professionista, il cui nucleo fondamentale dicesse e realmente significasse la prossima unità.

Il 23 novembre 2007 la Chiesa ortodossa di Romania ha istituito una diocesi in Italia. Una lettera del patriarcato romeno ha annunciato l’iniziativa al Vescovo di Terni, Mons. Vincenzo Paglia, responsabile della CEI per il dialogo ecumenico. I cittadini stranieri di religione ortodossa in Italia sono quasi un milione, la maggior parte romeni.

Invochiamo ancor di più il beato Geremia, essendo la sua storia un invito all’unità e alla santità, come ebbe a scrivere Mons. Francesco Saverio Toppi di venerata memoria:

Geremia Stoica da Valacchia è riconosciuto dagli ortodossi romeni come uno di loro; egli sarebbe passato - a loro parere - al cattolicesimo senza neppure rendersi conto delle differenze che lo distinguevano dall’ortodossia. Al di là della rispondenza o meno di tale opinione alla realtà dei fatti, bisogna convenire che sarebbe veramente meraviglioso se fosse accaduto così, sarebbe un provvidenziale segno dei suoi e nostri tempi. È intanto significativo al massimo che intorno a una figura così semplice e lineare, ad un fratello comune agli uni e agli altri, si stia insieme, cattolici e ortodossi, uniti dalla carità di Cristo che egli impersona e irradia[13].

E di tono simile, se non addirittura più esplicitamente volte alla tensione per l’unità, furono le parole del servo di Dio Giovanni Paolo II al momento della beatificazione di fra Geremia, avvenuta in piazza San Pietro, il 30 ottobre 1983:

Un figlio della Romania, la nobile Nazione che porta nella lingua e nel nome l’impronta di Roma. La glorificazione di questo servo fedele del Signore, dopo tre secoli di misterioso nascondimento, è riservata ai nostri giorni, segnati dalla ricerca dell’ecumenismo e della solidarietà tra i popoli a livello internazionale. Il Beato Geremia da Valacchia venendo dalla Romania in Italia, riallacciò nella sua vicenda storica Oriente e Occidente, lanciando un emblematico ponte tra i popoli e tra le Chiese cristiane[14].

Ecco quindi chiarito il motivo per cui si potrebbe considerare il Beato un corridoio spirituale, attraverso il quale le popolazioni dell’Est hanno incontrato e continueranno ad incontrare quelle dell’Ovest. Anche di san Nicola si suole parlare come di un ponte fra le due anime della cristianità delle origini. Insegna Tertulliano: «È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini»[15]. Lo stesso frate valacco, ritornato ora alla sua terra, completa un itinerario esistenziale, che seppe ornare di virtù ed esempi cristiani, oltre ai talenti di natura ricevuti proprio nel luogo delle sue origini.

Ogni volta che torniamo indietro verso le nostre radici siamo avvantaggiati nella ricerca e conseguente scoperta di quello che è il nostro patrimonio comune di fede, liturgia, preghiera personale, Tradizione della Chiesa in genere. L’unità con i cristiani d’Oriente ci dovrebbe riportare senza difficoltà né equivoci al quadro della Chiesa del primo millennio. La nostra origine cristiana evidentemente è doppia: la Scrittura santa ed il Battesimo, «porta dei sacramenti». Così spiegano i Lineamenta in preparazione all’Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi del prossimo mese di ottobre:

I due aspetti essenziali che uniscono tutti i fedeli in Cristo sono costituiti dalla Parola di Dio e dal Battesimo. È a partire da questi dati di fatto che il cammino ecumenico ha bisogno di continuare nelle sfide che gli stanno dinanzi in vista di quella unità piena, che solo in un ritorno alle sorgenti della Parola, interpretata alla luce della Tradizione ecclesiale, può garantire un incontro totale con Cristo e con i fratelli[16].

Come già prima e durante il Vaticano II, non si finirà mai di riaffermare e promuovere il ressourcement, capace di preparare novità, innescare progressi, riformulare verità in linguaggi nuovi. Continuava nell’omelia per la beatificazione il Santo Padre Giovanni Paolo II:

Geremia da Valacchia è il primo romeno che ascende ufficialmente agli onori degli altari. Egli che nella sua vita realizzò una sintesi armoniosa tra la Patria naturale e quella adottiva, contribuisca ora, proclamato “beato”, a promuovere la pace tra le nazioni e l’unità dei cristiani, additandone col suo esempio la strada maestra: la carità operosa per i fratelli[17].

Non è per un caso fortuito che lo stesso Pontefice, dodici anni più tardi, nella sua lettera enciclica Ut unum sint parlasse del dialogo della carità, presupposto fondamentale per un ecumenismo visibile: «Il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità»[18]. E non senza motivo sono state intitolate La misericordia della carità le pagine dedicate a tratteggiare il profilo di fra Geremia nell’ultimo santorale cappuccino, uscito in occasione del Grande Giubileo del 2000[19].

L’avventura umana e cristiana del beato Geremia ci induce a riflettere, per ringraziare di tutto cuore Dio nostro «Padre, veramente santo, fonte di ogni santità». Nella già citata enciclica sull’impegno ecumenico Papa Giovanni Paolo II scriveva a proposito della necessità di «continuare l’ecumenismo spirituale e testimoniare la santità»:

Nell’irradiazione che emana dal “patrimonio dei santi” appartenenti a tutte le comunità, il “dialogo della conversione” verso l’unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l’umanità. Come cantano le liturgie, “incoronando i santi, Dio incorona i suoi propri doni”[20].

Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano II era stato categorico in proposito. Affermava: «Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità»[21]. Dialogando per la verità e facendosi reciprocamente la carità, sarà più facile imboccare la strada della santità, esattamente come successe a frate Geremia. Ovvero potersi incontrare tra cristiani, portando nelle Chiese sorelle un germe di speranza, un anelito costante e fecondo alla conversione del cuore.

 

 

Per un approfondimento bibliografico

 

Cargnoni C., ed., Sulle orme dei santi. Il santorale cappuccino: santi, beati, venerabili, servi di Dio, Istituto Storico dei Cappuccini-Postulazione Generale, Roma 2000, 53-60.

Mareş P., «Traslazione del corpo del Beato Geremia in Romania», in Campania Serafica 40 (2008/3) 28-29.

Mastroianni F., Il Beato Geremia e gli inizi cappuccini in Romania, T.D.C., Napoli 1996; si tratta del testo di un documentario-video, che è stato tradotto anche in lingua romena:

________, Viaţa Fericitului Ieremia Valahul şi începuturile capucinilor în România, T.D.C., Napoli 1996.

Sacra Rituum Congregatio, Neapolitana beatificationis et canonizationis Ven. Servi Dei Fr. Heremiae a Valachia… Positio super virtutibus, Roma 1951.

Strazzari F.-Mattè M., ed., «Romania e Bulgaria. Realtà ecclesiale: nuovi impulsi. Rinnovamento interno e confronto fra Chiese», in Regno Att 53 (2008) 236-238.

Toppi F.S., «Dall’Oriente un testimone della carità: il venerabile Geremia da Valacchia», in M. d’Alatri, ed., Santi e Santità nell’Ordine Cappuccino, Roma 1980, 189-206.

Toso d’Arenzano R., «Geremia di Valacchia, venerabile», in Istituto Giovanni XXIII, ed., Bibliotheca Sanctorum. VI. Galena-Giustiniani, Città Nuova, Roma 1965, cc. 215-216.

Zarrella P., «Icona del Beato Geremia», in Campania Serafica 40 (2008/3) 16-17. Si descrive un’icona del B. Geremia realizzata da Danilo Galdarossa, frate cappuccino della Provincia veneta, di fraternità a Hania (Creta).

Si consulti il Bollettino di cronaca, studi e informazione Il Cappuccino dei Frati Cappuccini di Napoli, specie i numeri da marzo a giugno 2008 (richieste a: padrefiorenzo@libero.it).

 

Il giorno 26 aprile 2008, nel convento di S. Eframo Vecchio, a Napoli, si è celebrato un Convegno di studi in occasione della “partenza” del Beato verso la Romania. Si auspica la pubblicazione dei relativi Atti, che conterrebbero i contributi dei frati cappuccini Roberto Cuvato (La vita del B. Geremia secondo i suoi biografi), Romualdo Gambale (I miracoli attribuiti all’intercessione del B. Geremia), Fiorenzo Mastroianni (Le virtù teologali e morali del B. Geremia), Iustin Lucaci (La devozione a fra Geremia oggi in Romania).

 

Per un approfondimento in rete

 

Informazioni ulteriori in romeno sul sito www.ofmcapucini.ro e in italiano in www.ofmcappuccininapoli.it Un sito ortodosso con riferimenti ai santi della Chiesa cattolica: www.sfant.ro/sfinti-romani/cuviosul-ieremia-valahul-romanul.html

 

Un catalogo delle risorse ortodosse della rete                                       www.cristianesimo-ortodosso.com

Il sito della Chiesa ortodossa romena                                                                www.patriarhia.ro

La Metropolia ortodossa romena dell’Europa occid. e merid. (con sede a Parigi) www.mitropolia-paris.ro

La Conferenza episcopale cattolica romena                                                      www.catholica.ro

L’Arcidiocesi romano-cattolica di Bucarest (Arcivescovo Mons. Ioan Robu)      www.arcb.ro

Un’agenzia d’informazioni (con articolo dettagliato sul ritorno del B. Geremia)    www.pastoratie.ro

Per i documenti e il cammino della III Assemblea Ecumenica Europea di Sibiu   www.eea3.org

www.romania2007.it

Associazione dei Romeni in Italia - A.R.I. (Milano)                                           www.romanii.it

La chiesa italiana del SS. Redentore a Bucarest                                    www.chiesaitalianabucharest.org

L’Ambasciata a Roma nel sito del Ministero degli Affari Esteri romeno              www.roma.mae.ro

 

Sommario

Il pellegrinaggio che nel mese di maggio del 2008 ha portato nella sua Patria il beato Geremia, religioso fratello cappuccino, offre aspettative fondate affinché presto si possa passare da un ecumenismo spirituale, fatto di preghiera comune, conversione del cuore e desiderio di santità da parte delle Chiese cristiane sorelle, a un concreto, visibile ecumenismo in terra romena e ovunque il frate, dopo secoli, farà parlare di sé. Esaminando le letture suggerite dal Lezionario delle Messe proprie dell’Ordine dei Frati Cappuccini e l’eucologia della memoria dell’8 maggio, si cerca qui di evidenziare la semplice freschezza ed attualità della proposta spirituale incarnata dal Beato. Egli puntò tutto sull’amore ed il servizio agli ammalati, dimenticando se stesso e la condizione d’emigrato in un Paese straniero.

Oggi si potrebbe aggiungere questa nuova pagina sul Samaritano in viaggio alle note che Padre Rodolfo Toso d’Arenzano ofm.cap. ebbe a scrivere sull’allora venerabile fratello infermiere, pubblicate nel VI volume della Bibliotheca Sanctorum. Un’opera di luce vivida, edita a Roma, mentre il concilio Vaticano II segnava vie rinnovate di santità, da tutti percorribili dentro la Chiesa.


 

[1] Cfr. P. Cocco, «Romania: fra Mario Querini e la “Casa ecumenica” di Onesti», in Portavoce di san Leopoldo Mandić 48 (2008/5) 12-14.

[2] Cfr. Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Lezionario per le Messe proprie dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Pro manuscripto, Roma 2006, 31-34.

[3] Riportata da F.S. Toppi, Il beato Geremia Stoica da Valácchia. Un invito all’unità, Campania Serafica, Napoli 1983, 20042, 74.

[4] Per questo testo ed i seguenti cfr.: «8 maggio. Beato Geremia da Valacchia, Religioso», in Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Messe proprie dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Pro manuscripto, Roma 2006, 85-86.

[5] F.S. Toppi, Il beato Geremia Stoica, 130. Oppure cfr. L’Osservatore Romano, 19.12.1959; Analecta OFMCap 75 (1959) 799-801.

[6] L’ideale tipicamente francescano di una universale fraternitas è stato visibilmente sotto gli occhi di molti nei giorni del viaggio del Beato da Mergellina (Napoli) alla sua terra natale, giacché i due frati cappuccini che lo accompagnavano erano uno di origine romena, ma residente a Napoli, l’altro italiano trapiantato in Romania da 14 anni.

[7] A. Bello, Omelie e Scritti quaresimali, Mezzina, Molfetta 1994, 374.

[8] DS 601. 603.

[9] Basilio Magno, De Spiritu Sancto 18, 45: PG 32, 149C.

[10] DS 1821-1825 ivi 1822.

[11] Tra i tanti articoli e saggi pubblicati per l’occasione si segnala, ad esempio, di C. Magris, «Padre Pio e il corpo feticcio che non serve alla fede», in Corriere della Sera, 16.4.2008, 1.57: «Questa idolatria feticista oltraggia il grande, sacro senso che il cattolicesimo ha dell’uomo e del corpo (…) Gesù si adira con chi ha bisogno di miracoli per aver fede (…) Che i morti seppelliscano i loro morti, ha detto Gesù, non che li riesumino e li mettano in mostra». Di altro tenore ed impatto: L. Alessimo, «Il culto delle sante reliquie», in Pietrelcina, la terra di Padre Pio 13 (2008/4) 15-17.

[12] Regno Doc 53 (2008) 136-152 ivi 152; o anche Acta Apostolicae Sedis 99 (2007) 6, 1.6.2007, 465-510.

[13] F.S. Toppi, Il beato Geremia Stoica, 123.

[14] Giovanni Paolo II, Cari frati cappuccini...Omelie, discorsi, lettere. 1978-2005, a cura di F. Neri, Italia Francescana, Roma 2006, 29. Oppure cfr. F.S. Toppi, Il beato Geremia Stoica, 133-137 ivi 134; L’Osservatore Romano, 31.10.1983; Analecta OFMCap 99 (1983) 287-289.

[15] Tertulliano, De praescriptione haereticorum, 20; CCL 1, 202.

[16] XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Lineamenta, n. 28. Il corsivo è nostro.

[17] Giovanni Paolo II, Cari frati cappuccini..., 30.

[18] Giovanni Paolo II, Ut unum sint 60: EV 14/2786. Di dialogo della carità si parla complessivamente cinque volte nella Lettera Enciclica, ai nn. 17, 51 e 60 (3 ricorrenze). Giovanni Paolo II ne ha più volte scritto in seguito. Leggiamo nella sua Lettera Apostolica per il IV centenario dell’Unione di Brest (12.11.1995): «L’approfondimento nella conoscenza della dottrina sulla chiesa, operato dal concilio e dal dopo concilio, ha tracciato una via che si può definire nuova per il cammino dell’unità: la via del dialogo della verità nutrito e sostenuto dal dialogo della carità (cf. Ef 4,15)»: EV 14/3300. Una citazione del n. 60 di Ut unum sint è stata fatta in fondo al n. 4 della Lettera Apostolica per i 350 anni dell’Unione di Užhorod (18.4.1996; cfr. EV 15/778-799 ivi 792). Mons. Eleuterio Fortino ha spiegato le origini dell’espressione in un suo contributo sulla II Assemblea Ecumenica Europea di Graz (23-30.6.1997), riletta come preparazione all’appuntamento del 2000: «Il patriarca ecumenico Athenagoras I di Costantinopoli propose quel processo noto come “dialogo della carità”. Egli si basava sull'invito del diacono nella liturgia bizantina che introduce il segno di pace e la recita della professione di fede con questa esortazione: “Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito professiamo la nostra fede”. Per poter fare la professione di fede - in campo ecumenico, per poter fare una professione di fede comune ed eventualmente raggiungerla se non si ha una piena comunione di fede, come è il caso - occorre instaurare una situazione di carità reciproca»: E.F. Fortino, «Dialogo della carità e Grande Giubileo», in www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01071997_p-56_it.html. Così ha continuato a fare anche Papa Benedetto XVI, che nel suo discorso ai capi delle Chiese protestanti in Germania (19.8.2005) ha asserito: «Non può esserci un dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità e nella verità»: Benedetto XVI, La rivoluzione di Dio, San Paolo-LEV, Cinisello B. (MI) 2005, 95-102 ivi 97, stranamente omette queste parole; cfr. Insegnamenti di Benedetto XVI (2005). I. Aprile-dicembre 2005, LEV, Città del Vaticano 2006.

[19] Cfr. C. Cargnoni, ed., Sulle orme dei santi. Il santorale cappuccino: santi, beati, venerabili, servi di Dio, Istituto Storico dei Cappuccini-Postulazione Generale, Roma 2000, 53-60.

[20] Giovanni Paolo II, Ut unum sint 84: EV 14/2849.

[21] Concilio Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio 7: EV 1/494-572 ivi 522. Tale verus oecumenismus fu ripreso anche da Giovanni Paolo II, Ut unum sint 15: EV 14/2693.

 

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