In attesa della lettera del Papa, Enzo Gabrieli racconta: “Il calabrese
abate Gioacchino da Fiore che illuminò Dante”
Domani giovedì 25 marzo sarà pubblicata la Lettera Apostolica Candor Lucis
æternæ di Papa Francesco, dedicata a Dante Alighieri: il riferimento è al
"candore de la etterna luce" che Dante, nel terzo trattato del Convivio,
cita dal Libro della Sapienza, e per noi uno degli intellettuali più moderni
e più interessanti della Chiesa calabrese, Mons. Enzo Gabrieli, traccia un
profilo inedito sul monaco florense e le sue figure nella Comedia.
Quando si parla della Divina Commedia e del rapporto con Gioacchino da
Fiore si cita, con orgoglio, la notissima espressione della terzina del
Canto XII del Paradiso (139-141) “è lucemi da lato il calavrese abate
Gioacchino di spirito profetico dotato”.
Tanti hanno colto in questa citazione la sua notorietà e anche la sua
fama sanctitatis diffusa già all’epoca del Sommo poeta, altri la sua
giusta collocazione fra i grandi maestri nel Paradiso come
riconoscimento ed onore tributato per la sua opera e le sue profezie,
per quel desiderio di rinnovamento della Chiesa oggi quantomai attuale.
In ogni caso, ciò testimonia che la santità di vita e l’alta teologia
del fondatore dell’Ordine florense erano andate ben oltre i confini
della Calabria. Come è ben noto, dopo aver illustrato la vita di
Domenico ed aver ascoltato nel canto precedente Tommaso che magnifica le
gesta di Francesco d’Assisi, i due viri di cui aveva parlato l’abate
nelle profezie attribuite per la riforma della Chiesa, (“Degno è che,
dov’è l’un, l’altro s’induca; / sí che, com’elli ad una militaro, / cosí
la gloria loro insieme luca”) è proprio San Bonaventura a presentare a
Dante, fra gli altri grandi spiriti che sono accanto a lui nella seconda
corona, il fondator dei florensi.
Vengono indicati i santi della prima generazione francescana, poi Ugo da
San Vittore, Pietro Mangiatore, Pietro Ispano, il profeta Natan, san
Giovanni Crisostomo, sant’Anselmo d’Aosta, il grammatico Donato, Rabano
e quindi l’abate.
All’influenza di Gioacchino sull’opera e gli scritti del grande santo e
riformatore dell’Ordine francescano Bonaventura il giovane Joseph
Ratzinger (il grande teologo e futuro Benedetto XVI) dedicherà sei
secoli dopo il suo lavoro di dottorato dimostrandone chiaramente i forti
riferimenti e il grande contributo all’impianto concettuale. Ma c’è da
aggiungere che la terzina non resta una secca citazione, c’è chi
sostiene infatti che l’Alighieri richiama o lascia intravedere proprio
in essa la confessione di una certa illuminazione “e lucemi da lato” da
parte del monaco calabrese.
In un altro studio approfondito, e supportato da materiale documentario
ancora in parte inedito, emerge che Dente traduce ed armonizza in
poetica l’antifona delle Lodi dell’Ufficio del fondatore florensi che
era già in uso. Questa informazione è quanto mai importante per avere
conferma, insieme ad altre, dell’esistenza di una officiatura propria
dell’abate cantato “beato” dai suoi monaci, ma indicato come tale nella
Raccolta dei bollandisti e in tantissime altre fonti librarie e
pittoriche.
Anche gli studi Liber figurarum, prestigioso Codice gioachimita, hanno
portato dantisti e gioachimiti, ha cogliere un più ampio influsso sul
poema dantesco che va ben oltre la semplice citazione, e questo dato
storico e letterario “sicuro ed incontestabile, e desta meraviglia che
molti danteschi lo ignorino o per lo meno si mostrino ancora dubbiosi”
sostiene Crocco.
È difficile, ad esempio, trovare nelle scuole Superiori, della nostra
stessa Calabria, chi parli di alcune allegorie e dei riferimenti
gioachimiti nella Comedia. Gli studi più recenti fanno emergere, che
quel “lucemi” posto nel cuore del canto dantesco non è solo un
riferimento o una indicazione legata al personaggio o alla sua
collocazione spaziale nella fantasiosa visione ma un vero e proprio
contributo al suo viaggio ultraterreno.
È come se il Sommo poeta avesse voluto lasciar traccia di una “profonda
ispirazione”, allegorica e simbolica, offertagli dall’abate calabrese
dal contatto, o meglio dalla presa visione delle Tavole del Liber
figurarum che avrà potuto ammirare negli ambienti dei francescani
spirituali che egli stesso frequentava. Dempf, nel suo Sacrum Imperium,
andando oltre misura nei rapporti tra Dante e gli spirituali aveva
definito la Comedia “una apocalisse gioachimita”.
Lo stesso Papini avanzò la tesi, anch’essa interessante, che se da una
parte San Tommaso aveva acceso una fiamma per ispirare la grande Opera,
sicuramente Gioacchino aveva acceso una seconda lampada per illuminarne
il percorso: “se la Commedia è nel suo fondo e nella sua struttura
teologica, tomista, il suo afflato profetico, espresso in misteriosa
forma è gioachimita… San Tommaso gli insegnò ad edificare con ordine e
saggezza il tempio tripartito del suo poema; ma nel centro di quel
tempio c’è un tabernacolo coperto di emblemi misteriosi, che racchiude
una fiamma accesa con faville che provengono da Gioacchino”.
Nella Comedia si coglie l’atmosfera spirituale tipica dell’epoca in cui
essa maturò, dai chiari echi e reminiscenze gioachimite. Ad esempio,
Dante simbolicamente colloca la Trinità Santa in una immagine allegorica
che ritroviamo nelle figurae dell’abate. “Nella profonda e chiara
sussistenza/ dell’alto Lume parvemi tre giri/ di tre colori e d’una
contenenza;/ e l’un da l’altro, come iri da iri,/ parea reflesso, e il
terzo parea foco,/ che quinci e quindi ugualmente si spiri” (Paradiso
XXXIII, 115-120). E così evidente l’immagine dei tre cerchi tricolori,
simboleggianti la Trinità divina, che quasi non si vede più.
La fantasia creatrice dantesca è stata sicuramente influenza attraverso
il simbolo che ben ne rappresenta unità, trinità, processioni e
relazioni. E Dante già nel XIV canto del Paradiso (28-29) aveva detto
anche della Trinità: “Quell’Uno e Due e Tre che sempre vive e regna
sempre in Tre e Due e Uno”. Le suggestioni dantesco-gioachimite sono
disseminate nel testo. Si ritrovano ad esempio riferimenti delle aquile
ingigliate nel XIX Canto del Paradiso (1-5): “Parea dinanzi a me con
l’ali aperte la bella image…parea ciascuna rubinetto, in cui raggio di
sole ardesse”.
L’ideazione pittoresca e grandiosa, quanto complessa, dell’architettura
ideale del Paradiso dantesco trova forti riferimenti ai criteri
teologici della Tavola del Salterio decacorde ed anche evidenti analogie
con il suo simbolismo, secondo gradi di perfezione spirituale che
aumentano mentre si ascende verso il divino: “Il salterio gioachimita –
scrive Ermini - ha offerto a Dante la migliore costruzione poetica e
simbolica del suo Paradiso”. C’è poi la figura del Veltro liberatore ed
innovatore della Chiesa e della società cristiana, rappresentato come il
simbolico “cane” si ricollega alle allegorie dei Vaticini danteschi come
era stato descritto proprio dal profeta calabrese fino a richiamare la
figura di “un pontefice spirituale” che avrebbe completamente liberato
la Chiesa da ogni scandalo, compreso quello del potere temporale. Nuove
ricerche sono aperte dagli studiosi sula simbolica “I” con cui
“s’appellava in Terra il Sommo Bene” (Paradiso XXVI, 134).
In questo versetto Dante dice, senza pronunciarlo, attraverso una sigla
e con l’aiuto della poetica, il nome di Dio e che nel versetto 136 viene
riportato nella formulazione linguistica ebraica “El”; sarà pure una
coincidenza ma nei cerchi trinitari appare come prima sillaba della
sigla IEUE, il nome di Dio, anagrammato con la lettera “I”.
La “candida rosa” ripresa nella sua simbologia anche da Umberto Eco per
il famoso romanzo che ne porta il titolo, si ritrova in una delle figure
con le quali Gioacchino parla della Chiesa. “In forma dunque di candida
rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece
sposa” (Paradiso XXXI,1-3). È aperta ancora a percorsi di studio la
questione sulla figura di Beatrice che potrebbe rappresentare, per
allegoria, la Chiesa, che con chiari riferimenti gioachimiti (secondo
l’interpretazione del Tondelli) l’abate aveva raffigurato nella Sunamita,
la biblica sposa del Cantico dei Cantici. Beatrice diventa così la nuova
Chiesa spirituale sognata ed attesa dagli spirituali contemporanei
dell’abate e dal movimento francescano.