IL SACRO MONTE TABOR E GIOACCHINO DA FIORE pagina in lavorazione
Tra i soggetti che hanno recato lustro e splendore alla nostra Calabria,si deve
citare Gioachino da Fiore. Andava nella sua vigna e starsene poggiato su un sasso in adorazione.
Dopo alcune esperienze di lavoro nei tribunali di Cosenza e nella Cancelleria di
Palermo abbandona il mondo per servire solamente Dio,. Parte in
pellegrinaggio in Terra Santa.
Giunto a Tripodi di Soria, volle vestirsi da religioso e donato quanto aveva,
depose l’abito secolare vestendosi di ruvido panno di lana bianca e tosatosi la
chioma. A piedi scalzi continuò il suo viaggio verso Gerusalemme.
Attraversando le sterminate campagne del deserto, durante una sosta di orazione,
sognò un fiume d’olio corrente ed un uomo che gli diceva: Gioacchino, bevi e
satollati nel fiume. Finita la visione, destatosi, si riconobbe pieno della
intelligenza di tutti gli arcani divini.
Arrivato a Gerusalemme, salì sul Calvario e pregando intensamente sul monte Tabor si vide accerchiato da molto splendore, e gli vennero manifestati tutti
gli arcani dell’antico e nuovo testamento e particolarmente quelli della sacra
Apocalisse.
Ritornato dalla Palestina, si ritirò in una grotta, alle radici del Mongibello,
dove rimase una intera quarsima in orazione e digiuni.Mentre dimorava in
Sicilia, volle ritornare in Calabria a Luzzi nel monastero della Sambucina dell’ordine
cistercense, poi a Bucita nelle montagne della terra di Rende, e poi si recò al
Monastero di Corazzo dove fu ordinato ed eletto Abate. Nel secondo anno di pontificato di Lucio III, Gioacchino si recò a Casamari e
supplicò il Papa di ottenere la licenza di poter esporre e scrivere sopra la
Sacra Scrittura, giusta alle divine rivelazioni avute. Ma gli fu negata e
Gioacchino gli predì una grande calamità per la Chiesa di Dio.
Per lo spirito di profezia che aveva Gioacchino, il papa concesse tale facultà.
L’Abate Gioacchino si trattenne in detto monastero un anno e mezzo facendo
l’esposizione sopra l’Apocalisse, le concordanze del vecchio e del nuovo
Testamento e diede anche principio al Salterio.
Per affari del suo monastero, Gioacchino capitò a Scigliano e gli venne chiesto
il significato di una croce luminosa che appariva in aria sopra il cimitero
della Chiesa Parrocchiale di Scigliano, nel casale di Diano. Gioacchino predisse
travagli e spargimento di sangue che si verificarono dopo alcuni anni.Quando Gioacchino terminò il libro sulla
Concordia dell’uno con l’altro
Testamento, volle omaggiare il papa Urbano III e presentatogli il libro, fu per
la celeste dottrina che in sé conteneva riconosciuto come Oracolo. Ottenne
non solo la facoltà di scrivere su tutta la Sacra scrittura, ma anche di più
perchèsi poteva occupare delle cose celesti e liberamente esercitare il suo talento scrivendo e
componendo. Dopo una sosta a Venezia, ritornò a Corazzo dove si applicò
all’esposizione dell’Apocalisse. durante questo impegno Dio gli diede molti segni per manifestare al mondo
la Santitài.
Richiamato dal papa Clemente III per vedere l’esposizione sopra l’Apocalisse,
incaricatagli dal suo predecessore, ed avendo ben conosciuto in esso il dono
dell’intelligenza che aveva sopra tutta la Sacra scrittura, gli concedette la
facoltà più ampia di potere applicarsi a ciò , esonerandolo dal Monastero. Quindi Gioacchino con pochi monaci si ritirò in un luogo
chiamato Pietralata.
Alla fama del gran sapere di Gioacchino, come se fosse un altro Salomone vi
accorrevano tutti da lontani paesi . Poichè il numero cresceva, non
era possibile che Gioacchino star potesse in detta solitudine e così partì per
la Sila, e si fermò nel luogo chiamato Fiore sopra due fiumi Neto e Almo. Quel
luogo fu la prima origine del monastero Florense tanto raccontato nelle storie.
Gioacchino continuava a vivere in solitudine ma il Signore volle mostrare la
Santità di lui a veduta di tutti i Grandi d’Europa, che invitava a seguire la
via della fede e le armi della luce piuttosto che proseguire con le armi.
Nell’anno 1196 ottenne da papa Celestino III la conferma del suo Istituto per la
fondazione della nuova congregazione florense e dei monasteri ad essi soggetti. Gioacchino scriveva giorno e notte.
Celebrava devotamente e mai gioiva di più se non quando diceva messa della
passione di Gesù Cristo.Oltre al Monastero Florense ne fondò vari altri e nell’ultimo anno della sua
vita, 1201, aveva iniziato quello di Fonte Laurato a Fiumefreddo, che a causa
della sua morte non potè essere finito.Chiamati a sé tutti i monaci di Corazzo, della Sambucina, e di S. Spirito,
Gioacchino predisse la decadenza del suo Monastero Florense e spirò nelle loro
braccia il 30 marzo del 1202.
IL MONTE TABOR
IL Monte Tabor è una collina della Galilea,
in Israele,
che si eleva di circa 400 metri sulla pianura circostante, raggiungendo
l'altezza massima di 588 m sul livello
del mare.Tradizionalmente (oppure in alternativa il monte
Hermon) viene identificato come l'"alto monte" sul quale, secondo i Vangeli,
avvenne la trasfigurazione
di Gesù. In epoca crociata,
la cima del monte venne spianata per costruirvi un monastero benedettino
fortificato, che venne poi espugnato e distrutto dal Safedino;
di esso rimane il portale d'ingresso in pietra, chiamato Porta del vento.Oggi sulla spianata, lunga qualche centinaio di metri, sorgono la chiesa
cattolica della Trasfigurazione, costruita nella prima metà del XX
secolo, e il monastero greco-ortodosso di Sant'Elia. Il luogo è visitato da
molti turisti e pellegrini; la strada che si snoda lungo il fianco della
montagna non permette la salita di grossi pullman, ma solo piccole autovetture.
Vi è un servizio di navette che portano fino all'ingresso della spianata, oppure
si può salire a piedi in circa 45 minuti dal parcheggio.a montagna non è un vulcano, ma un'area elevata circondata da terreni di subsidenza,
che in geologia viene definita horst.
Nonostante la sua prossimità alle montagne di Nazaret,
costituisce una formazione geologica separata.Ai piedi della montagna si trova un importante incrocio di strade: Via
Maris che passa nei pressi, procedendo dalla valle
di Jezreel verso nord in direzione della Siria e
di Damasco.
La sua posizione che sovrasta la giunzione stradale, con la sua forma tozza e
prominente sull'area circostante, diede al monte Tabor un valore strategico, e
in effetti molte guerre sono state condotte nell'area in diversi periodi della
storia.La montagna viene menzionata per la prima volta nella Bibbia,
nel Libro
di Giosuè19:22 ,
come il limite tra le aree di tre tribù
perdute di Israele: quella di Zabulon,
quella di Issachar e
la tribù
di Neftali. L'importanza della montagna deriva dal controllo strategico
delle vie nord-sud della Galilea. Debora,
la profetessa, ammonì Barak della
tribù di Neftali e gli trasmise il comandamento di Dio, "Vai e dirigiti verso il
monte Tabor e prendi con te diecimila uomini dei figli di Neftali e dei figli di
Zabulon" (Giudici4:6 ).
Scendendo dalla montagna, gli Israeliti attaccarono
e annientarono i Cananei guidati
dal mercenario Sisara,
che riuscì a fuggire, ma venne ucciso subito dopo.Al tempo del Secondo
Tempio, il Monte Tabor era uno dei picchi montuosi, sui quali era abitudine
accendere fuochi per
informare i villaggi del nord delle festività e
dell'inizio del periodo della luna
nuova, che segna il mese
lunare nel calendario
luni-solare ebraico.Il condottiero israelitico Alessandro
Maccabeo, della casa degli Asmonei,
comandò una ribellione armata di 31.000 uomini provenienti dalla Giudea, contro Aulo
Gabinio, governatore romano della Siria,
che lo sconfisse in una battaglia nei pressi del monte Tabor. Circa 10.000
guerrieri ebraici vennero uccisi in battaglia e lo stesso Alessandro venne
catturato e ucciso.Nel 66 d.C.
durante la prima
guerra giudaica contro la dominazione
romana, gli ebrei della Galilea si
trincerarono sulla montagna sotto il comando di Giuseppe
Flavio, dove riuscirono a resistere con successo contro l'assalto dei
romani.Il Monte Tabor era una delle 19 città che i ribelli della Galilea fortificarono,
sotto il comando di Yosef
Ben Matityahu, che, catturato dai romani e graziato dai Flavi,
sarebbe divenuto Flavio
Giuseppe. Secondo il suo stesso resoconto, presente nel libro La
Guerra Giudaica, l'imperatore Tito
Flavio Vespasiano inviò un'armata di 600 cavalieri, sotto il comando di
Platsidus, con il compito di combattere i ribelli. Platsidus si rese conto
dell'impossibilità di prendere la cima del monte con le forze a sua
disposizione, e dunque chiese ai ribelli nella fortezza di scendere da essa per
negoziare. Un gruppo di ribelli giudei discese dalla montagna fingendo il
proposito di negoziare con Platsidus, ma venendogli incontro l'attaccarono.
Inizialmente le forze romane si ritirarono, ma mentre si trovavano nella
vallata, invertirono la marcia, dirigendosi di nuovo verso il monte, attaccarono
i ribelli, e ne uccisero molti, ostruendo ai ribelli superstiti la via verso la
cima del monte. Molti dei ribelli abbandonarono la Galilea e tornarono a Gerusalemme.
Il resto dei ribelli rimase nella fortezza, per infine suicidarsi oppure
arrendersi dopo aver esaurito le riserve d'acqua, consegnando infine il monte
alle truppe di Platsidus. il Monte Tabor fu acquisito dai cristiani nel 1631 grazie
all'opera instancabile del Custode di Terra Santa padre
Diego Campanile da Sanseverino, il quale dopo l'acquisizione mandò i frati
ad abitarlo[1].Già per i primi pellegrini cristiani, il Monte Tabor è il luogo dove si colloca
l’episodio della trasfigurazione di Cristo, raccontato nei Vangeli, e dove sorge
oggi la basilica della Trasfigurazione. Anche se non viene direttamente citato
il nome del monte, sembra si tratti proprio del Tabor, che si distingue
nettamente dalle altre alture della Galilea ed è situato a 450 metri al di sopra
della pianura, vale a dire a 588 metri s.l.m.. Il monte si trova a est di
Nazaret, dalla quale dista solo 8 km in linea d’aria.
Leopardi e il Colle dell'Infinito
Nella solitudine di Recanati, di un mondo ristretto e immobile dal quale il
giovane Leopardi anela allontanarsi, dopo anni di studi fiologici e
letterari compiuti in gran parte da autodidatta nascono i primi Idilli. Tra
i piu famosi, nella primavera del 1819, il poeta scrive l'infinito. Leopardi definirà i suoi componimenti Idilli,
non per il significato classico di descrizione di vita campestre, ma per
quello di "situazioni, affezioni, avventure storiche del suo animo".
Liriche limpide, densissime, non pretendono descrivere un aspetto del reale,
bensi illuminare, con fuggevoli tratti, uno stato d'animo, un paesaggio
interiore, per cui ogni parola risplende di emozioni, sentimenti, aneliti.
L'infinito trova il suo riferimento spaziale sull'ermo colle,
l'altura solitaria del monte Tabor, sovrastante Recanati,
dove Leopardi passeggia e medita. In realtà, il luogo reale del colle, con
la siepe che esclude allo sguardo un lembo di orizzonte, è pretesto e
simbolo di quei limiti umani che la ragione pone, Riporta l'uomo di continuo
al mistero del vivere che è anche pena, male, non-senso.
Come l'occhio desidera scoprire dietro la siepe l'orizzonte nascosto, così
il cuore aspira, in un momento di fuggevole contemplazione, a liberarsi dai
lacci di una filosofia fredda, spietatamente consequenziaria, che sancise
l'infelicità degli uomini e il vuoto del mondo gettando sconforto nel
giovane poeta. Allora il mirar lontano, oltre la siepe, diventa un
immaginare, un fingere: "io nel pensiero mi fingo". Leopardi non si limita
ad osservare i dati del reale; crea con la fantasia "interminati spazi e
sovrumani silenzi" e nelle profondità di queste immagini evocate il suo
cuore sembra quasi smarrirsi. Questo è il paesaggio che abbiamo davanti. Sul
colle il sentimento non si arresta, ma si allarga a comprendere anche
l'infinito temporale che viene, percontrasto, dallo stornir del vento tra le
piante, voce dell'attimo presente e della stagione viva. Il vento evoca lo
scorrere del tempo, rimanda alle morte stagioni e canta quella presente. E'
ancora il paesaggio dell'infinito, luogo intensamente vero.
L'animo si immerge in questo dolce mare, si oblia. Appare sconfinato il
piccolo cerchio dell'esistenza di ogni uomo. Il monte Tabor di venta così il
colle dell'infinito al volgere del primo quarto di secolo. Morto
Leopardi, nel 1846 viene aperto aperto il viale del colle dell'infinito...Il
paesaggio respira e cresce, vero organismo vivente...Leopardi ha associato a
questo colle un momento assoluto che mai perderemo. Sta a noi, nell'ambito
delle intraprese più diverse, conservare questo mezzo chilometro quadrato
quale luogo di prestigio e di bellezza. ...Il monte Tabor ci ricorda che il
suo futuro è affidato a chi vive in quell'area, per il godimento di tutti
quelli che hanno nel cuore il famoso Idillio. E un impegno gravoso? Forse,
ma fa parte di quella qualità dei luoghi per cui il nostro paese avrà il suo
sviluppo più alto e consistente, al di là di ogni immediata economia.
Nei primi mesi del 1830 Leopardi compone Il
passero solitario, riprendendo uno spunto che risale al 1819,
il periodo dei primi Idilli. All'immaginazione viva di quelle poesie si
aggiunge un'esperienza dolorosa. Nel 1923 Giacomo si è allontanato da
Recanati nell'illusione di trovare a Roma l'appagamento di quei desideri
d'onore, gloria, amore e indipendenza economica che avrebbero potuto dare
una nota di positività al viver suo. Ma a Roma gli sembra tutto ancor più
vile, più laıdo che a Recanati; lo circonda un mondo ipocrita, governato da
pregiudizi e piccole miserie. Né le successive esperienze a Milano, Bologna,
Firenze valgono a ridar conforto a un animo intristito, scosso dalla
malattia e ripiegato su se stesso. Ritornato nell'"arida solitudine" di
Recanati, dopo essersi confrontato con l'amara realtà senza poterla
accettare, il poeta ritorna con i grandi Idilli all'incanto dei sogni mai
realizzati, alla giovinezza, vagheggiata come un'età d'incanto, di ingenuo
amore alla vita, che altri, non lui, hanno goduto.
Nel passero solitario torna il monte Tabor; Leopardi guarda dalla
collina la totte antica che è il campanile della chiesa
di Sant'Agostino, a occidente del borgo. S'immedesima con l'uccello
solitario che ruota nel suo caratteristico volo dalla torre, espanndendo il
suo canto per la campagna sino all'ora del tramonto. Il passero se ne va per
l'aere senza compagni, "schivo agli spassi", dimentico di quella primavera
festosa che in un'esplosione di gioia fa brillare l'aria, rinnova la vita
sui campi e attraversa gli uccelli svolazzanti nel limpido cielo. La torre
antica, sospesa fra cielo, città e campagna, è un luogo da cui il paesaggio
si allarga. Il passero che da essa si muove per il suo viaggio è la
raffigurazione della vita isolata del poeta che guarda da lontano la
trasognata giovinezza, cogliendola negli intrecci di sguardi amorosi, nella
trepidazione dei giovani e delle fanciulle che sciamano per le vie di
Recanati nei giorni di festa.
L'allegria della gente è sottolineata dai suoni, dallo squillare delle
campane agli spari a salve che il poeta ode da lontano, in quella remota
parte della campagna dove egli si trova a rincorrere un tempo gioioso che
mai ha vissuto. Il sole si spegne nel quadro della festa, come la giovinezza
e i dolci sogni. Nel cuore resta l'amarezza per non aver goduto di questo
tempo di grazia. II poeta può appena sfiorarlo in un tenero ricordo per
alleviare il buio e il vuoto della presente stagione. Questi versi, dopo più
d'un secolo e mezzo conservano il volo trepido del passero solitario che
ancor oggi vive e nidifica in questa torre, annullando il tempo e rinnovando
la nostra nostalgia... Recanati,
come altri centri grandi e piccoli delle Marche, è situata su di una
collina, una sorta di lunga cresta, che taglia il circostante paesaggio. Il
profilo della città si disegna cosi morbida quando il tempo è sereno,
appaiono poi comporsi tonalmente con il colore del laterizio che, in genere,
caratterizza gli edifici dell'abitato urbano. Una linea sinuosa a mezza
costa, oggi marcata da una via di circonvallazione, segna il passaggio dalla
città antica e murata prima verso un'ordinata periferia cittadina, poi verso
la campagna.
Il "colle" cantato da Leopardi è toccato da tale linea; in un certo senso
sembra anzi una logica conseguenza dell'esistenza della città. Il "borgo
antico", si direbbe, impiantandosi e assestandosi ha provocato come un
marginale turgore nel profilo collinare. La siepe marcava il limitare di
quel colle. È dunque perfettamente leggibile l'imma gine poetica dello
sguardo escluso da "tanta parte dell'ultimo orizzonte" cioè dal mondo. Quel
mondo, grande ma lontano, che già allora, durante la vita del poeta, andava
profondamente mutandosi. Ma, come figura in una bella canzone francese degli
anni del secondo dopoguerra, l'anima dei poeti corre per le strade anche
molto tempo dopo che essi sono scomparsi. E Recanati è permeata dell'anima
leopardiana...Tale anima sembra avere lievitato nei luoghie negli spazi
cittadin, così come negli abitant, fino ad integrarsi organicamentein quell'insieme
di valori cultural, di ritualità, di quotidianità, che compongono ciò che si
definisce il "mentale" di una societ; tanto più se cittadino.
In questo senso direi che Recanati è già, in sostanza, il "parco
letterario" della poesia leopardiana.( Stanislao Nievo, Parchi letterari dell'Ottocento.
Marsilio1998)
Il Tabor è una collina che gode fin dai più remoti tempi biblici di
un’aura di mistero e di sacralità celebrata dai salmi. All’epoca dei
Giudici (XII secolo a.C.) sarebbe diventato il luogo strategico di
raccolta delle forze israelitiche contro i Cananei. Soprattutto, il
monte Tabor sarebbe rimasto negli annali per la trasfigurazione di Gesù.Coi suoi 588 metri di
altitudine, il Tabor assomiglia più a un’alta collina che a una vera
montagna… La sua grandezza non viene, tuttavia, dall’altitudine, bensì
dalla sacralità associata al luogo fin dalla storia più antica, già a
partire dall’epoca dei Giudici (XII sec. a.C.). In quel periodo,
infatti, mentre i Cananei occupavano la regione del Tabor e veneravano
un gran numero di idoli, il popolo di Israele, che frequentava quest’altura,
abbracciò largamente il politeismo cananaico, cosa della quale rende
testimonianza, fra i profeti, in particolare Osea.Sì, il giudizio è contro
di voi perché siete stati una trappola a Mispa, un laccio teso sul
Tabor. Degli infedeli hanno scavato una fossa profonda e io sarò per
tutti loro un castigo.
os 5,1-2Ciononostante, malgrado le
infedeltà del popolo giudaico, Dio lo sostiene nella lotta contro i
Cananei e gli ordina:Va’, fa’ venire al monte
Tabor e prendi con te diecimila uomini tra i figli di Neftali e i
figli di Zabulon. Varò venire verso di te, al torrente di Qishon,
Sisara, il capo dell’armata di Yabina, coi suoi carri e le sue
truppe, e lo metterò nelle tue mani. Gdc 4,6-7
Cosa che il popolo ebraico
fece. Allora la parola divina si compì e i Cananei furono battuti. Il
Salmo 89 canta la gloria di Dio, al quale è associato chiaramente il
monte Tabor:
Sei tu che hai creato il
Mezzogiorno e il Settentrione,il Tabor e l’Ermon cantano il tuo nome.Sal 89,13
La Trasfigurazione di Gesù
sull’“alto monte”
Se gli scritti dei primi tempi
cristiani non sono precisi quanto alla localizzazione di quell’episodio
importante della vita di Cristo che fu la Trasfigurazione, a partire dal
IV secolo (con san Cirillo di Gerusalemme e san Girolamo), la questione
non fu più oggetto di dubbio, e fu risolta una volta per tutta
dall’autorità dello Stridonense. Il monte Tabor fu da allora considerato
come il luogo in cui la gloria di Dio si è manifestata nella
Trasfigurazione. Un’affermazione perpetuata fino al giorno d’oggi e che
sembra trovare sostegno nei Vangeli.
Così l’evangelista Luca
riporta i fatti:
Circa otto giorni dopo
questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul
monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e
la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini
parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e
parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a
Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno;
tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che
stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a
Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una
per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che
diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse;
all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una
voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto;
ascoltatelo». Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e
in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.Lc 9,28-36
IL SACRO MONTE DELLA VERNA IL LUOGO DOVE
FRANCESCO DI ASSISI RICEVETTE LE STIMMATE
Il monte della Verna entra nella storia dei grandi luoghi santi del
mondo grazie a un incontro carico di umanità, di cortesia e di
comunione spirituale. Nella primavera del 1213 Francesco d’Assisi
insieme a frate Leone stava attraversando la regione del Montefeltro
quando sentì di una festa presso il castello di S. Leo: si trattava
dell’investitura di qualche cavaliere? Era l’occasione di incontrare
gente, di parlare loro del Vangelo, dell’Amore. Salì al castello
mentre, forse, sulla piazza si svolgeva una gara di menestrelli.Montò
su di un muretto e lanciò il tema della sua canzone d’amore: Tanto è
quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto. Le sue parole
furono così vibranti che gli occhi e la mente di tutti erano come
rapiti da lui. Tra gli ascoltatori c’era il Conte di Chiusi in
Casentino, Orlando Catani. Via via che lo ascoltava, sentiva
crescere in sé il bisogno di parlare con quell’uomo nuovo, di
aprirgli il cuore sui fatti della propria anima. Terminata la
predica, glielo chiese. Francesco ne fu contento ma volle che prima
lui adempisse ai doveri della cortesia e dell’amicizia: Onora gli
amici tuoi che ti hanno invitato per la festa e desina con loro, e
dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà. L’incontro fu
intenso. Il Conte trovò luce nelle parole dell’uomo di Dio, ma il
colloquio gli fece intuire anche qualche riflesso dell’anima di
Francesco. Volle perciò fargli un’offerta che gli pareva adatta al
suo voler essere tutto di Dio, alla sua ricerca di solitudine: Io ho
in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama monte della
Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto
a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi
desidera fare vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri Io ti
donerei a te e a’ tuoi compagni per salute dell’anima mia. L’offerta
piacque a Francesco. Poco tempo dopo mando due suoi compagni a
vedere e, avuto conferma he quanto il conte diceva corrispondeva a
verità, accettò il monte con grande gioia.I
Fioretti narrano che quando egli vi si recò fu accolto alle falde
del monte da una grande torma di diversi uccelli, li quali con
battere I’ali mostravano tutti grandissima festa e allegrezza.
Francesco disse ai frati suoi compagni che questo era segno del
compiacimento divino: al nostro Signore Gesù Cristo piace che
abitiamo in questo luogo solitario. Così la Verna divenne uno dei
romitori nei quali ogni anno egli amava passare prolungati periodi
di ritiro. Non sappiamo quante volte vi sia salito. Conosciamo
invece i fatti della quaresima di S. Michele che vi passò sul finire
dell’estate del 1224. Sarebbe stata questa la sua ultima sosta alla Verna.
Era stanco e ammalato. Aveva rinunciato a guidare
personalmente il suo ordine: ormai aveva avuto la sicurezza
dell’approvazione della Regola da parte del Papa Onorio IV (29
novembre 1223).In
essa aveva dato ai suoi frati il midollo del Vangelo, quella era la
via da seguire! Per lui era cominciato come un nuovo itinerario di
intimità col suo Signore. Nove mesi prima, la celebrazione del
Natale gli aveva permesso di immedesimarsi nella esperienza della
povertà dell’Incarnazione (Presepe di Greccio1223). Ora lo attendeva
il culmine dell’esperienza dell’amore, il dare la vita. Alla Verna
ebbe il coraggio di chiedere proprio questo nelle sue notti di
preghiera, di solitudine e di rapimento: provare un po’ dell’amore e
del dolore che Gesù Cristo sentì nei momenti della sua Pasqua di
Morte e Risurrezione. Fu esaudito e, intorno alla Festa
dell’esaltazione della Croce (14 settembre), il suo corpo fu segnato
delle stesse piaghe del Crocifisso.Di
più, nelle sue mani e nei suoi piedi si formarono come delle
escrescenze a forma di chiodi. Mai la storia aveva narrato un fatto
simile. Circa venti anni prima (1205/6) aveva cominciato a seguire
il Vangelo del Signore ascoltando la Parola del Crocifisso di S.
Damiano. Quelle parole e quell’immagine gli si erano stampate nel
cuore. Adesso si manifestavano nella sua carne. Fu la sua Pasqua: la
Liturgia della Festa delle Stimmate applica a lui le parole di S.
Paolo: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono piu io che vivo,
ma Cristo vive in me… difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio
corpo (Gal 2,20; 6,17).Francesco
era diventato la parola di amore che per anni aveva meditato,
vissuto e annunciato. Sul finire di Settembre lasciò la Verna. Per
due anni cercò di nascondere i segni del prodigio. Solo pochi intimi
ne vennero a conoscenza prima della sua morte (3/4 Ottobre l 226).
La Verna, abitata, amata e custodita dai figli di frate Francesco,
nasce e affonda le sue radici in questo evento storico e misterioso.
“A causa dell’esperienza singolare che S. Francesco vi ebbe di
Cristo, anime pensose lo annoverano ancora tra gli alti luoghi dello
spirito” (Paolo VI). Essa ha in sé mille messaggi di bellezza, di
forza, di silenzio, di ricerca, di pace… ma tutti sono solo un tenue
riverbero di quella notte in cui il Monte della Vernia parea
ch’ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva e
illuminava tutti li monti e le valli d’intorno, come se fusse il
sole sopra la terra.
Visitare la Verna e un po’ affacciarsi a questo mistero, chiedere di
esporsi a questa luce.
Il monte Tabor ai nostri
giorni
Si tratta certamente di un
luogo straordinario, e ancora oggi sono numerosi i pellegrini che si
recano in questo posto biblico unico e incantato. Un primo santuario vi
fu edificato nel IV secolo, precisamente dove ai nostri giorni si trova
il monastero greco ortodosso. Nel VI secolo sarà una chiesa in stile
siriaco ad essere costruita sul medesimo luogo della basilica odierna
(datata 1919). Ogni secolo avrebbe coperto il piccolo altopiano in cima
alla collina con basiliche e monasteri, mentre le pendici restano
coperte di macchia boschiva. Dalla sua sommità si vede tutta la vallata
di Esdrelon, e di lontano s’intravede la depressione del Giordano. Un
luogo splendido propizio a meditare su quegli straordinari episodi
biblici, col pensiero rivolto alle molte generazioni che da secoli si
inerpicano per i sentieri del Nella
primavera del 1213 Francesco d’Assisi insieme a frate Leone
attraversando il Montefeltro si recò per curiosità ad una festa al
castello di S. Leo. Salì su un muretto recitando la sua canzone d’amore:
“Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto”. Le sue
parole rapirono gli occhi e la mente dei presenti e tra questi il Conte
di Chiusi, Orlando Cattani. Mentre lo ascoltava, gli venne il desiderio
di parlare con Francesco gli chiese udienza e trovò luce nelle sue
parole tanto che volle fare un’offerta adatta al suo voler essere tutto
di Dio nella solitudine: “ho in Toscana uno monte di nome monte della
Verna solitario e selvatico atto a chi vuole fare penitenza o vita
solitaria. Io ti donerei a te e ai tuoi compagni per salute dell’anima
mia”. L’offerta piacque a Francesco che accettò la donazione. I
Fioretti narrano che quando Francesco visitò il monte fu accolto da
tantissimi uccelli in festa e allegrezza. Disse ai frati suoi compagni
che questo era segno del compiacimento divino: al nostro Signore Gesù
Cristo piace che abitiamo in questo luogo solitario. Così la Verna
divenne uno dei romitori nei quali ogni anno egli amava passare
prolungati periodi di ritiro. Sul finire dell’estate del 1224 vi passò
la Quaresima di San Michele. Era stanco e ammalato ma aveva avuto la
sicurezza dell’approvazione della Regola da parte del Papa Onorio IV
(1223). Nove mesi prima, la celebrazione del Natale gli aveva permesso
di vivere l’esperienza della povertà della grotta di Betlemme (Presepe
di Greccio1223). Alla Verna chiese al Signore qualcosa di forte nelle
sue notti di preghiera, di solitudine e di rapimento: voleva provare un
po’ dell’amore e del dolore che Gesù Cristo sentì nei momenti della sua
Pasqua di Morte e Risurrezione. Fu esaudito e intorno alla Festa
dell’esaltazione della Croce (14 settembre), il suo corpo fu segnato
delle stesse piaghe del Crocifisso. Circa venti anni prima (1205/6)
aveva cominciato a seguire il Vangelo del Signore ascoltando la Parola
del Crocifisso di S. Damiano stampandole nel cuore. Ora le stesse parole
si manifestavano nella sua carne. Fu la sua Pasqua; la Liturgia della
Festa delle Stimmate applica a lui le parole di S. Paolo: “sono stato
crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me…
difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 2,20; 6,17).
Solo pochi intimi vennero a conoscenza del prodigio prima della sua
morte (3 Ottobre l 226). La Verna nasce da questo evento favoloso. “A
causa dell’esperienza singolare che S. Francesco vi ebbe di Cristo,
anime pensose lo annoverano ancora tra gli alti luoghi dello spirito”
(Paolo VI). In essa si ha bellezza, silenzio, ricerca, pace… e tutti
rivediamo quella notte in cui il Monte della Verna fu teatro
dell’incontro di Francesco con il Signore. Andiamo spesso a visitare la
Verna per vivere il mistero nel silenzio, preghiera e pace, anche in
inverno per vivere l’esperienza di Francesco in un freddo incredibile. Ci troviamo a
pochi chilometri da Chiusi
della Verna (AR),
nel Parco
Nazionale del
Casentino e ci arriviamo da due strade, dalla E 45 che va a Cesena o
salendo da Arezzo . Il Santuario è stato costruito nella parte
meridionale del monte
Penna a
1128 metri di altezza e ospita numerose cappelle,
luoghi di preghiera e raccoglimento. Fu costruito su un monte nominato
Laverna per un Tempio di Laverna, Dea protettrice dei rifugiati e dei
nascondigli tipici di questo territorio; i luoghi erano un tempo
consacrati al culto pagano del dio della montagna Pen da cui il nome Appennino e
del monte
Penna,
infatti il monte si trova all’inizio dell’appennino tosco romagnolo. Il
primo nucleo eremitico risale a San
Francesco
nel 1213.
Negli anni successivi sorsero alcune piccole celle e la chiesetta di
Santa Maria degli Angeli. Lo sviluppo di un grande convento avvenne a
seguito delle stimmate (1224)
e il luogo fu scelto come ideale per dedicarsi alla meditazione.
Francesco si ritirò qui nel mese di agosto per un digiuno di 40 giorni
in preparazione per la festa di san Michele. Papa Alessandro IV prese
la Verna sotto la protezione papale e nel 1260 fu
eretta e consacrata una chiesa. Pochi anni dopo venne eretta la
Cappella delle Stimmate vicino al luogo ove era avvenuto il miracolo.
Dalla Cappella di Santa Maria degli Angeli i frati che risiedono alla
Verna , gli ospiti ed i pellegrini, in solenne processione ogni giorno
all’ora nona, si recano alla cappella delle Stimmate. Il Quadrante è il
piazzale lastricato del belvedere esterno, da cui è possibile accedere a
tutti i luoghi visitabili del Santuario; deve il suo nome alla meridiana,
l'orologio solare inciso sulla parete del campanile della Basilica. Nel
piazzale è presente una grande croce di
legno, piantata nella roccia simbolo del Santuario. Esiste anche
un pozzo della foresteria, una cisterna del XVI
secolo che
veniva utilizzata per pellegrini e ospiti. La Basilica maggiore fu
dedicata alla Madonna Assunta e consacrata nel 1568.
All'interno, troviamo importanti unici stupendi rilievi in terracotta
opera di Andrea
Della Robbia e
del figlio Luca che adornano varie cappelle . Il corridoio delle
Stimmate, totalmente coperto, è il luogo dove si svolge, dal1431,
la giornaliera processione dell'ora
nona. Il
corridoio è affrescato con episodi della vita di San Francesco. A circa
metà del corridoio si trova sulla destra il luogo dove giace il "letto"
di San Francesco. Si tratta di una piccola grotta dove il santo si
accingeva a riposare sulla nuda terra e dove noi ci soffermiamo sempre
in raccoglimento e preghiera chiedendoci come facesse a riposare in tal
luogo. L’esterno del corridoio è costeggiato da un sentiero pavimentato
e parallelo che da accesso ad altri luoghi di preghiera e di meditazione
del Santo come ilsasso
spicco, un precipizio spettacolare a vedersi. Proseguendo il corridoio
si giunge all'antico Romitorio e alla cappella delle Stimmate eretta
sul luogo dell'evento miracoloso. Sul pavimento, è segnalato da una
lapide il luogo dove sarebbe avvenuto il miracolo delleStimmate
e intorno un coretto dove ci si raccoglie in preghiera meditando questo
evento che ha sconvolto la nostra fede e la fede di tanti giovani in
cerca di una verità e di discernimento. Dopo la morte di san Francesco
nei pressi della Cappella delle stimmate dimorò per alcuni mesi nel1230SanAntonio
da Padova
che con Francesco condivideva la scelta della povertà e del servizio al
Signore di cui erano entrambi innamorati e ricambiati.
Bellissimo questo luogo ,unico al mondo con i suoi precipizi e la sua
meravigliosa foresta ricca di faggi secolari e di una straordinaria
ricchezza botanica oltre che faunistica dove trovano dimora cervi,
daini, caprioli e cinghiali. Sono presenti anche numerose specie di
uccelli, tra cui i rapaci Gufo Reale e Falco Pellegrino. Eccolo il Sacro
Monte della Verna un luogo unico, di straordinaria bellezza che per
volere di Dio e di san Francesco è diventato meta di pellegrini e di
tante persone, moltissimi giovani, in cerca di serenità, pace e
preghiera. A tutti noi che saliamo alla Verna il Signore ha dato pace al
cuore, a molti ha aperto gli occhi della vita, a tanti ha dato serenità,
molti sono stati chiamati alla vocazione, molti alla ricerca spirituale
e a tutti ha regalato l’umiltà di Cristo sulla croce e di Francesco
stigmatizzato. Un luogo da visitare e da amare perché qui è stata
scritta una pagina importante della storia della fede e qui è iniziato o
si è perfezionato il cammino vocazionale di che
Il Tabor: la trasfigurazionedi Marco Tibaldi(tratto da M. Tibaldi, La Porta del cielo, ETS, Milano
2013)Dono da chiedere nella preghiera:Poter vedere
Gesù nello splendore della sua gloria per poterlo seguire nel
suo cammino verso Gerusalemme28]Circa otto giorni dopo questi
discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a
pregare. [29]E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua
veste divenne candida e sfolgorante. [30]Ed ecco due uomini parlavano
con lui: erano Mosè ed Elia, [31]apparsi nella loro gloria, e parlavano della
sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.
[32]Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia
restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano
con lui. [33]Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù:
“Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te,
una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva.
[34]Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in
quella nube, ebbero paura. [35]E dalla nube uscì una voce, che
diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. [36]Appena
la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non
riferirono a nessuno ciò che avevano visto.Lc 9
Il contesto del Branoepisodio della trasfigurazione si trova in un
momento molto delicato del rapporto tra Gesù e i discepoli. Dopo il successo
iniziale della sua predicazione cominciano a manifestarsi delle
difficoltà. Le prime sono con i gruppi dell’ebraismo ufficiale,
scribi, farisei e sadducei che non riconoscono l’autorità di Gesù.
Poi ci sono difficoltà interne al gruppo dei discepoli, in cui, come
in ogni comunità umana, non mancano divisioni, incomprensioni e
litigi come ci testimonia la famosa discussione su chi fosse il più
grande tra loro: «Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa,
chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?” Ed essi
tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il
più grande». (Mc 9,33-34). Infine ci sono delle difficoltà con lo
stesso Gesù che, proprio nel momento in cui i discepoli lo
riconoscono come Messia a Cesarea di Filippo «“E voi chi dite che io
sia?”Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”» (Mc 9,27-29) subito dopo
«cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto
soffrire, ed essere rimproverato dagli anziani, dai sommi sacerdoti
e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente» (Mc 8,31-32). Negli altri
apostoli devono essere comparse molte perplessità ed interrogativi
di fronte alla reazione che ha Pietro al discorso di Gesù: «Allora
Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo». Pietro, che
poco prima lo aveva riconosciuto come Messia, ora si mette a
rimproverarlo, probabilmente pensando di lui quello che anche i
parenti di Gesù avevano già detto: «È fuori di sé» (Mc 4,21).La replica di Gesù ai rimproveri di Pietro non si fa tuttavia
attendere: «Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò
Pietro e gli disse: “Torna dietro a me, satana! Perché tu non pensi
secondo Dio, ma secondo gli uomini”» (Mc 8,32-33).Punti per la meditazioneGesù ha capito che la sua missione comprende l’esperienza della
morte. Sa che i discepoli non sono pronti per accettare questa
verità e viene loro incontro con un segno portentoso: mostra loro la
sua gloria. Vuol far capire che è la stessa persona quella che ora
dovrà andare a Gerusalemme per morire ingiustamente per salvare i
peccatori e colui che rifulge in tutto il suo splendore.Gesù fa questo mentre è in preghiera, per darci un’indicazione
preziosa. La sua trasfigurazione non è un evento magico o un fatto
sensazionale nel senso banale del termine. È la preghiera che
consente di vedere gli altri, a cominciare da Gesù, in una luce
diversa. Come per i discepoli, anche noi spesso viviamo accanto alle
persone ma non le sappiamo vedere nella giusta luce. Così ci sarà
capitato tante volte di ‘non riconoscere’ più una persona che magari
conosciamo da tempo, perché questa è cambiata interiormente o perché
è cambiato il nostro sguardo su di lei.Gesù non è solo ma è con Mosè ed Elia, che riassumono la Legge e i
Profeti. Solo in mezzo a loro due si può manifestare nella sua
gloria come a dire che senza di loro ciò non è possibile. Senza
l’Antico Testamento non possiamo capire il Nuovo e non possiamo
capire la novità che è Gesù . Questa novità però è stata lungamente
preparata. Gesù parla con Mosè ed Elia del suo prossimo esodo a
Gerusalemme. Lui vive la sua imminente morte come un esodo un evento
di liberazione che porterà vita e benedizione per tutti.Pietro e i discepoli non capiscono che questa esperienza molto bella
e arricchente non li deve paralizzare, bloccare lì come loro
vorrebbero, ma deve servire per andare avanti, nel cammino dietro a Gesù. Così per noi, le esperienze belle che facciamo, tra cui
certamente il pellegrinaggio, devono servire per farci proseguire
con più decisione nel cammino della vita.Il Padre come già era accaduto al battesimo di Gesù si rende
presente per approvare e incoraggiare il Figlio e i discepoli. Anche
Gesù vero uomo ha bisogno della vicinanza del Padre in momenti così
difficili come questo. Sta per cominciare infatti il viaggio che lo
porterà a Gerusalemme per la tappa conclusiva della sua avventura
terrena. Anche a noi talvolta può sembrare che Dio sia distante,
sopratutto nei momenti difficili, ma lui è presente nella nube
nascosto ma vicino.
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo
fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu
trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano
con lui.La
trasfigurazione avalla la confessione di fede di Pietro
. Gesù non è soltanto Figlio dell'uomo ma è anche Figlio del Dio Vivente.Il
Tabor conferma la proclamazione di Cristo da parte di Pietro. Nella
Trasfigurazione Gesù e di tre discepoli salirono sulla montagna per pregare .
Durante la preghiera improvvisamente Gesù cambiò il suo aspetto :il suo volto ed
il suo corpo iniziarono a risplendere e le vesti diventarono di un bianco
abbagliante .