La Regola dell'Ordine di san Benedetto, o Regola benedettina, in latino denominata Regula monachorum o Sancta Regula,[1] dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, consta di un "Prologo" e di settantatré "capitoli".

ella "Regola" San Benedetto fa tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica che gli fece capire quanto le debolezze umane allontanino di più dalla contemplazione di Dio. Per questa ragione propone di vincere l'accidia (una certa "noia" spirituale) con il cenobitismo, cioè una vita comunitaria che prevede un tempo per la preghiera e uno per il lavoro e lo studio (Ora et labora), lontana dalle privazioni e mortificazioni estreme imposte dalla vita in solitudine scelta dagli asceti e, quindi, attuabile anche da persone comuni.

L'attività primaria divenne in diversi monasteri la copiatura di testi antichi, specie di quelli biblici. A tal proposito si è fatto notare che «il monaco che ricopia e medita e rivolve e commenta e diffonde la parola biblica aperse la via alle nuove scienze linguistiche".

In particolare, per i Benedettini la "Preghiera" è intesa come la contemplazione del Cristo alla luce della Parola Sacra ed è praticata sia comunitariamente attraverso i canti (sono i canti gregoriani), la partecipazione a funzioni e l'ascolto delle letture in diversi momenti della giornata (ad es. durante i pasti), sia nel chiuso della propria cella, nei luoghi inospitali e disabitati dove erigevano le loro abbazie, ma anche lo studio e, un tempo, la trascrizione di testi antichi (non solo religiosi ma anche letterari o scientifici). Del resto per loro un'altra forma di preghiera è anche il proprio atteggiamento verso il lavoro.

Così San Benedetto organizza la vita monastica intorno a tre grandi assi portanti che permettono di fare fronte alle tentazioni, impegnando continuamente e in modo vario il monaco:

  1. Preghiera comune
  2. Preghiera personale
  3. Lavoro

Lo studio non era compreso in quanto, almeno inizialmente, la maggior parte dei monaci benedettini era analfabeta. Compito del monaco è, con l'aiuto della comunità monastica di cui fa parte, di adempiere a questi tre obblighi con il giusto equilibrio, perché quando uno prende il sopravvento sugli altri il monachesimo cessa di essere benedettino. I monaci che seguono la regola di San Benedetto, infatti, non devono essere né dei contemplativi dediti unicamente all'orazione, né dei liturgisti che sacrificano tutto all'Ufficio, né degli studiosi, né dei tecnici o degli imprenditori di qualsivoglia genere di lavoro.

I

l Prologo definisce i principi della vita religiosa (soprattutto la rinuncia alla propria volontà e il proprio affidamento a Cristo) e paragona il monastero a una "scuola" che insegna la scienza della salvezza, cosicché perseverando nel monastero fino alla morte, i discepoli possano "meritare di divenire parte del regno di Cristo".

Dei settantatré capitoli che seguono il prologo, nove trattano i doveri dell'Abate, tredici regolano l'adorazione di Dio, ventinove sono relativi alla disciplina e al codice penale, dieci regolano l'amministrazione interna del monastero, i rimanenti dodici riguardano provvedimenti diversi.

  1. Cenobiti, cioè coloro che vivono in un monastero sotto la guida di un Abate;
  2. Anacoreti, o eremiti, che vivono in solitudine dopo essersi messi alla prova in un monastero;
  3. Sarabaiti, che vivono in gruppi di due o tre, senza regole prestabilite e senza un superiore;
  4. Girovaghi, monaci viandanti che vivono andando da un monastero all'altro portando discredito alla professione monastica. La regola si rivolge solo ai primi.