San Francesco di Paola e …..alcuni miracoli !
Il
processo cosentino (1512-1513) ha contribuito con quello di Tours a portare
sugli altari San Francesco di Paola (Paola,
27 marzo 1416 – Tours, 2 aprile 1507). La copia originale del processo di
santificazione è dovuta a Nicola de Sproverio . Istruito
a Cosenza, S. Lucido, Paterno e Corigliano, al processo sono stati ammessi una
ventina di testi. A questi sono state poste delle domande circa la fede della
terra di Paola, se a Paola ebbero origine Giacomo, padre di Francesco, cristiano
e battezzato e Donna Vienna, madre di Francesco; se tra Giacomo e Vienna fu
contratto matrimonio secondo il rito della Chiesa e se il matrimonio sia stato
vissuto cristianamente e di accordo; se da loro nacque Francesco, figlio
legittimo e naturale. Altra domanda fu posta se i genitori battezzarono il
figlio imponendogli il nome di Francesco e se lo fecero cresimare. Altre domande
sono state poste su Francesco, se visse l’infanzia onestamente e religiosamente,
se edificò monasteri e se operò miracoli. Un teste, Galeazzo di Tarsia, Barone
di Belmonte, ha affermato che il Santo trascorse l’adolescenza a Paola vivendo
onestamente ed in perfezione, in odore di buona fama ed edificò conventi
importanti a Paola, Paterno e a Spezzano; ivi si recavano quotidianamente
numerosissime persone, attratte dalla fama e dai miracoli che operava fra
Francesco. Il teste non vide mai alcuno tornarsene scandalizzato ma erano
soddisfatti e lodavano le virtù, le preghiere di Francesco e le grazie ricevute.
Galeazzo visitò Francesco molte volte. Suo padre, don Giacomo, aveva una piaga
alla gamba che ogni giorno peggiorava; tanti chirurghi famosi tra cui Vincello,
chirurgo di Maida nella diocesi di Nicastro, dimora della Marchesa di Gerace e
nuora di Re Ferdinando I, cercarono di curare la piaga senza esito. Don Giacomo
andò a Paola da Francesco e questi gli fece togliere la fasciatura dicendo: «E’
un gran male, occorre avere molta fede in Gesù »; fatto il segno della croce
sopra la ferita, vi mise polvere e tre foglie aggiungendo: “Andate e abbiate
fede nel Signore, che vi farà la grazia”. In pratica lo guarì.
I testimoni hanno detto che fra Francesco ha sempre ha goduto di buona fama e
operato miracoli e mai si sentì mormorare sul suo conto ma si esaltava il suo
operato straordinario. Nei paesi di Paola, Paterno, Spezzano, Corigliano e
Napoli edificò conventi ove raccoglieva una moltitudine di gente che tornavano
alle proprie case lodando e ringraziando Iddio per le grazie ricevute per
intercessione del frate. Un teste raccontò che un uomo lebbroso da due anni,
muto, mani e piedi paralizzate, fu portato a Paola e giunto da fra Francesco
questi lo prese per mano e lo guarì subito. Un altro teste, Giovanni Bombino da
Cosenza, raccontò che ancora piccolo, un mulo gli tirò un calcio in testa.
Portato da fra Francesco questi chiese grazia al Signore scrivendo una lettera
ad un medico perché si prendesse cura di Giovanni, così il Signore gli avrebbe
fatta la grazia. Il medico lo medicò e Giovanni fu guarito. Il medico disse al
teste: «Non sono state le mie medicine a ridarti la vita, ma il Signore e fra
Francesco». Un altro teste, Francesco Florio di Cosenza, raccontò che mentre
nevicava trovò fra Francesco in Chiesa, scalzo e con un abito lacero addosso,
assorto nella contemplazione e in estasi. Vide la cella in cui dormiva arredata
con una tavola e una tegola per poggiare il capo. I frati asserivano di averlo
visto mai mangiare. Mangiava poco a Pasqua e nelle feste solenni, nutrendosi
di legumi mal cotti. Andava nei boschi scalzo, odorava come erba fresca, i
capelli erano come fili d’oro, i piedi nudi e le mani erano delicati e morbidi,
come se avesse sempre calzato le scarpe. Riferirono che al tempo in cui fra
Francesco costruiva il convento di Paterno guarì un Dottore di Lecce da un male
incurabile. Fra Francesco insistette nel mettere due fette di pane e altro
ingrediente sul corpo dell’ammalato che le tenne sino all’alba; in quest’ora il
Dottor Luigi si svegliò, sedette sul letto e chiese da mangiare perché guarito.
Un altro teste raccontò che un giorno a Paterno vide circa duecento uomini e
donne afflitti da diversi mali e guariti dal Santo. Allo stesso venne un male
che gli paralizzò la mano. Fra Francesco gli chiese: “Mostrami la mano”; la
notte la mano si ritrovò sana e guarita. Il teste Reverendo Don Giovanni
raccontò che fra Francesco sin da fanciullo visse onestamente e santamente. A
tredici anni i suoi genitori lo accompagnarono al convento di S. Marco
Argentano, dove rimase un anno; si fece poi condurre in pellegrinaggio ad Assisi
perché tutta la famiglia era devota di San Francesco fondatore dei frati minori
(1182 -1226). Tornato a Paola, si stabilì in un romitorio. I genitori riferirono
che Francesco «ha voluto restare fuori del paese per vivere da eremita». A
quattordici anni, iniziò a costruire un convento, distante da Paola circa un
miglio. Dopo quasi quattro anni cominciò a ricevere i primi compagni e li vestì
di un abito come il suo formandoli a vivere in onestà e santità. Terminato il
convento di Paola, ne costruì un altro a Paterno ,uno a Spezzano e poi a
Corigliano ove accorrevano in tanti per la devozione e i miracoli che fra
Francesco operava. Tutto questo il teste lo asserisce perché vide, fu presente
e sentì. Fra Francesco nel costruire il convento di Paola apprestò una fornace
che sovraccarica di legna prese fuoco; gli addetti ai lavori non potendo
ripararla e chiamarono fra Francesco dicendogli: «Padre, correte, che la fornace
di calce minaccia di rovinare!». Il Santo li tranquillizzo e disse loro di
recarsi a far colazione, restando da solo. Ritornati gli operai videro la
fornace rimessa in sesto per miracolo. Lo stesso teste raccontò che trovandosi
Francesco a parlare con un sacerdote forestiero lo assicurava di una erba che
aveva virtù terapeutiche perché “ a coloro che servono Dio perfettamente e
osservano i suoi comandamenti, le erbe, spontaneamente, per loro natura,
rivelano le loro virtù”. Francesco prese un tizzone ardente ed esclamò: «Questo
fuoco perché è stato creato da Dio se non per obbedire all’uomo?». Dopo averlo
tenuto in mano lo depose e il prete, visto il prodigio, chiese di vestire
l’abito di fra Francesco. Un giorno poi venne da Lui un muto dalla nascita; fra
Francesco lo condusse nella chiesa dicendogli: «Pronunzia il nome di Gesù per
tre volte»; il muto obbedì, ripeté chiaramente «Gesù» e se ne tornò sano. Ad un
uomo che portava una caldaia con pece bollente questa gli schizzò sul viso e
bruciò viso e il petto, rischiando di rimanere sfigurato. Francesco per miracolo
arrivò sul posto con delle erbe e dei succhi che pose sopra le scottature e lo
guarì. Una donna di nome Margherita gettando dell’acqua calda storse la bocca in
maniera impressionante tanto da non poter tornare come prima. E fra Francesco
prese un’erba chiamata «cercimita» la fece mettere sul capo della donna e la
guarì. Un uomo caduto da un albero di gelso, battè la testa e restò privo di
sensi. Fra Francesco corse, lo prese in braccio e lo guarì. Durante i lavori al
convento in Paola non c’era pane; gli operai volevano da mangiare e Francesco
disse loro: «Comprendo bene che frate corpo ha bisogno di cibo». Dopo un’ora
arrivò una bestia con due sacchi pieni di pane e gli operai poterono mangiare;
la sera ebbero ancora pane a sufficienza da portare a casa, un pane fresco e
fragrante come uscito dal forno merito solo del miracolo del Santo. Un uomo
parlo di due fratelli ammalati a fra Francesco che disse: «Per Luca, il Signore
farà la grazia, per Nicola, il Signore lo vuole con sé; Luca guarirà mentre
Nicola deve provvedere a tener pulita la casa, cioè la coscienza». Quasi
subito Luca guarì e Nicola morì dopo pochi giorni. Un tale portò a fra
Francesco alcuni pesci d’acqua dolce, infilzati per la gola, questi li guardò e
prendendoli nelle mani disse: «Guardate come avete imprigionati questi poveri
pesci »; li sfilò a uno a uno e li mise in una vaschetta d’acqua ove
saltellarono vivi. Aveva «fatto rivivere nell’acqua i pesci morti!» e tutti
gridarono al miracolo. Un altro teste riferì che un enorme macigno ostacolava il
luogo dove si costruiva il convento; trenta uomini non poterono smuovere il
masso e un operaio si fece male e bestemmiò il cordone di fra Francesco. Questi
mandò gli operai a far colazione e rimase solo. Tornati a lavorare la pietra non
c’era più perché caduta nel greto del fiume. Un giorno con due fichi e un
sorso di vino guarì una malata terminale; dopo pochi giorni segnò con la croce
un cieco che guarito fece ritorno a casa. Quanti miracoli sono stati
testimoniati nel processo cosentino di santificazione, qui riportati solo in
parte. Il miracolo dello Stretto di Messina è
un prodigio sorprendente nel
passaggio sul mare raro da riscontrare nella vita dei Santi. Come Gesù ed in
parte Pietro sul Lago di Tiberiade, Francesco in viaggio verso un convento di
Milazzo, giunge con i suoi compagni a Catona di Reggio e spera senza denaro e
per carità, di trovar posto su una barca carica di legname pronta a partire per
Messina. Il Santo prega il padrone della barca di accoglierlo con i due
confratelli ma invano perché voleva soldi. Fra Francesco ricorre all’aiuto
Divino, prega, distende il mantello sulle onde vi monta sopra e tiene stretto un
lembo all’estremità superiore del suo bastone a mò di vela. Veloce va verso
Messina con i confratelli che lo raggiungono con la barca dell’impaurito
padrone. Un racconto lungo ma vero frutto di una sintesi di testimonianze e
convegni che vuole raccontare in Francesco di Paola fondatore dell’Ordine dei
“Minimi” una vita che invita al bene nel nome di Gesù. Giampiero Scarpino