Lettera Circolare a tutti i Frati dell’Ordine sulla Formazione iniziale
(Prot. N. 00766/08)
Ravviviamo la fiamma del nostro carisma!
Cari fratelli,
1. Nella Lettera programmatica d’inizio sessennio[1], al terzo punto, annunciavo la decisione da parte del Definitorio generale «di costituire un Consiglio Internazionale della Formazione»[2] che avrebbe affiancato l’Ufficio Generale della Formazione. Ciò per «permettere di avere una visione aggiornata di quanto avviene nel campo formativo, sia per quanto riguarda la formazione iniziale sia per la formazione permanente»[3]. La decisione è stata maturata sia a seguito del Capitolo generale del 2006 sia tenendo conto delle prime esperienze che il Definitorio generale ha avuto nel contatto diretto con varie Circoscrizioni. Dopo il primo anno di servizio come Ministro generale e come Definitori, ci siamo posti questa domanda: “Di cosa ha maggiormente bisogno il nostro Ordine in questo momento?” La risposta unanime è stata: “di formazione”. Perciò abbiamo voluto appoggiare e incrementare l’impegno che si è avuto fino al presente in questo settore e abbiamo deciso di rinnovare l’Ufficio Generale della Formazione[4], che nel suo insieme e nelle sue diverse articolazioni intende assolvere a quanto prescritto dalle Costituzioni al n. 24. L’Ufficio Generale della Formazione è presieduto da un Definitore generale, in quanto accompagnatore e naturale tramite tra lo stesso UGF e il governo dell’Ordine. Il Segretariato Generale della Formazione, composto attualmente da quattro confratelli provenienti da diverse aree[5], ha il compito di collaborare direttamente con il Ministro generale e il suo Definitorio in tutto ciò che concerne i vari ambiti della formazione (iniziale, speciale e permanente). Esso ha un compito di riflessione e di progettazione, ma anche un ruolo esecutivo. Questo organismo centrale della Curia generale è di fondamentale importanza per la vita dell’Ordine; desideriamo vivamente che la sua azione, secondo gli scopi previsti dalle Costituzioni, si sviluppi maggiormente e risulti sempre più incisiva a beneficio di tutta la nostra Fraternità. Infine il Consiglio Internazionale della Formazione collabora con il Segretariato Generale come organo di consultazione e di verifica.
2. In questa mia lettera mi soffermerò principalmente su alcune sfide emergenti nell’ambito della formazione iniziale, anche se è più che evidente che il discorso potrebbe essere allargato senza problemi anche alla formazione speciale e a quella permanente[6]. Infatti, quando, da qualche parte, appare un elemento di fragilità, si può star certi che va collegato con una serie di fenomeni che toccano anche il resto dell’organismo. Le incertezze che si possono incontrare nel cammino della formazione iniziale non sono altro che un riverbero di incertezze avvertite a livello del vissuto quotidiano della vita dei frati. Quando la percezione del carisma diventa incerta, ciò non mancherà di ripercuotersi sul piano dell’introduzione alla nostra vita. È evidente allora che si tratta di compiere delle scelte. Come Definitorio generale abbiamo scelto di entrare nel tema per la porta della formazione iniziale. Siamo coscienti che non si potrà mai affrontare in modo del tutto adeguato un aspetto della formazione senza toccare anche gli altri. C’è chi afferma che la crisi della formazione iniziale è dovuta essenzialmente alla crisi della formazione permanente. Venendo a mancare un serio cammino di adeguazione sempre più stretta ai valori della vita fraterna evangelica, abbiamo poco da dire e ancor meno da esigere da chi intraprende il cammino iniziale. Questo è certamente vero. Altri, invece, affermano che la crisi è soprattutto dei formatori, che non sanno troppo bene come svolgere il loro compito e sovente dedicano più tempo ad altre incombenze che non alla formazione[7]. Da qualunque parte si voglia iniziare il discorso gli interrogativi che mi pongo sono: su quali aspetti si dovrà insistere per ovviare a tendenze problematiche alle quali accennerò tra poco? E ancora, in che modo va impostata la formazione iniziale, perché il candidato alla nostra vita scopra, anche attraverso la fatica, la bellezza insita nel dono totale di sé?
3. Il nostro Ordine sta vivendo un passaggio storico carico di conseguenze per il volto che assumerà in avvenire. Più della metà di tutti i frati vivono ormai nell’emisfero sud del nostro pianeta. Il fatto che oggi il 72% dei novizi appartengano alle Circoscrizioni dell’emisfero sud, ci dice che vi sarà un incremento progressivo del numero dei frati di questa parte del mondo. Questa è certamente una nuova sfida per tutti, ma allo stesso tempo è un invito ad incrementare nell’Ordine il dialogo circa il carisma delle origini e le modalità di viverlo e realizzarlo in condizioni sempre nuove. Il lavoro intorno al rinnovamento delle nostre Costituzioni costituisce un’occasione formidabile per intavolare ed approfondire un dialogo interculturale che ha alla sua base la trasmissione del nostro carisma di Frati Minori Cappuccini.
1. Alcune urgenze del momento
4. Questa lettera prende spunto anche da un elemento più circostanziato di quanto detto fino a questo punto. Intendo cioè rendervi partecipi di alcune preoccupazioni che mi porto dentro e che si fondano su dei dati osservabili. Proverò ad elencarli per sommi capi, consapevole che si tratta di tendenze. Affrontandole ora possono essere viste nella loro reale dimensione, evitando inutili allarmismi. Toccherà alle Istituzioni alle quali ho accennato sopra fornire ulteriori dati ed elaborare proposte concrete per attuare pienamente il carisma cappuccino nel presente e nell’immediato futuro. Occorre prima di tutto ravvivare la fiamma del nostro carisma, memori del fatto che Francesco ci ha voluti frati minori e che nel suo progetto di vita fece istituzionalmente astrazione dai connotati clericali e laicali, come tratti costitutivi, dei membri dell’Ordine.
5. Ma veniamo alle urgenze a cui accennavo e che mi pare di cogliere qua e là nell’Ordine. Le visite alle varie Circoscrizioni, la presidenza di Capitoli, il confronto con i Definitori generali su ciò che incontrano, ma anche lo studio delle relazioni di metà triennio, rappresentano un ottimo osservatorio su ciò che l’Ordine sta vivendo a vari livelli.
1.1 Che ne è dello spirito missionario?
6. Un primo dato di fatto riguarda un calo nella disponibilità ad essere inviati in missione per la prima evangelizzazione o comunque in luoghi segnati da situazioni difficili per ragioni economiche, sociali e politiche. Ripetutamente il nostro Ordine è invitato dai Pastori delle Chiese locali ad assumere la responsabilità di luoghi dove è necessaria una prima evangelizzazione oppure dove occorre consolidare quanto ha avuto inizio da pochi decenni. Debbo però constatare che si stenta parecchio ad aderire a tali richieste, e ciò anche da parte di Circoscrizioni che hanno un buon numero di vocazioni. Le maggiori difficoltà sono dovute al fatto che questo tipo di impegno richiede grandi sacrifici ed esige di stabilirsi in luoghi sovente privi di quelle strutture di comunicazione alle quali ci stiamo abituando un po’ dappertutto (accesso ad internet, ecc.). Mi preoccupa il fatto che molti si concentrino primariamente su ciò che potrebbe venire a mancare a se stessi, mentre ci si dimentica facilmente delle persone che non conoscono ancora il Vangelo o che hanno bisogno di essere accompagnate nel loro cammino di integrazione dei valori cristiani. Potrei citarvi più di un caso dove si nota questa fatica ad andare in territori poveri e a volte pericolosi. Grazie al cielo ho incontrato anche giovani disposti a partire anche all’indomani della proposta, per sfide nuove ed esigenti. Non voglio nemmeno dimenticare i fratelli che da tanto tempo dedicano la loro vita alla missione.
La resistenza a impegnarsi laddove le condizioni di vita sono difficili, va letto sullo sfondo di un elemento caratterizzante del nostro carisma cappuccino: pronti ad andare laddove nessuno è disposto ad andare, pronti a lasciare l’eremo per prestare il proprio aiuto incondizionato a chi soffre di malattie incurabili o di chi non ha ancora ricevuto il primo annuncio della fede. È parte integrante del nostro carisma assumere compiti missionari in fraternità e promuovere ovunque lo spirito fraterno, coinvolgendo le persone nell’affrontare e risolvere insieme le sfide che ci stanno davanti[8].
1.2 La missione esige tempi lunghi
7. Un altro dato che ho riscontrato riguarda il tempo consacrato alla presenza missionaria. Vi sono Circoscrizioni che hanno detto il loro «sì» per essere presenti in un paese o in un territorio di “missione”, e si trovano però a mendicare o a volte a lottare con frati che vi sono destinati poiché molto spesso il tempo di permanenza si riduce a tre anni o poco più. Alcuni fratelli poi fanno dipendere la loro disponibilità a partire per la missione dalla promessa di poter in seguito proseguire gli studi superiori. C’è da chiedersi: come potremo conoscere a fondo una cultura se non ci diamo nemmeno il tempo di imparare e di approfondire la lingua del luogo? Come potremo amare le popolazioni a noi affidate se, con la mente e il cuore, siamo già altrove? Esiste veramente il pericolo di introdurre un tipo di obbedienza al condizionale: “Sono disposto a fare quanto mi chiedi, a condizione che non duri più di tanto!” Anche in questo caso non vanno dimenticate quelle figure di frati che da anni vivono in contesti assai differenti da quelli delle loro origini e sono disposti a continuare nel loro servizio fino alla morte. Le Circoscrizioni che inviano fratelli in altri paesi affidando loro compiti di prima evangelizzazione o di sostegno alle chiese locali, debbono impegnarsi a sostenerli adeguatamente perché non abbiano a sentirsi soli e lasciati a se stessi.
1.3 Portarsi in cuore un progetto per la propria gente
8. Avverto nei candidati delle giovani Circoscrizioni un desiderio molto forte di poter un giorno approdare sulle rive delle Circoscrizioni del nord, per rimanerci stabilmente. C’è chi pensa che per il fatto stesso «di essersi fatto» cappuccino abbia acquisito il diritto di poter accedere in seguito ad una specializzazione di tipo universitario. È evidente che non possiamo sostenere un tale ordine di cose, pena di diventare un’agenzia di promozione sociale. L’Ordine non è contrario a garantire una formazione adeguata a chi è destinato alla formazione, all’insegnamento oppure destinato ad altri servizi per la fraternità. Se non ci facciamo portatori di un progetto globale tendente a migliorare le condizioni di vita e di fede di interi popoli, diventiamo facilmente vittima di egoismi di parte. Non ci «facciamo frati» solo per noi stessi, e neanche ci si «fa frati» per accedere ad un migliore standard di vita, ma per vivere il nostro carisma fraterno e testimoniarlo in mezzo a un determinato popolo, laddove siamo nati oppure ci siamo recati per divina ispirazione e con il merito della santa obbedienza, sempre nella condivisione della condizione sociale della gente umile e dei poveri del luogo. E se veniamo inviati agli studi superiori è perché le persone che in seguito ci verranno affidate possano profittarne. Altrimenti che senso ha?
1.4 Passare da progetti personali a progetti fraterni
9. Nelle Circoscrizioni, dove le vocazioni sono poco numerose e i candidati a volte hanno una età adulta, avverto la forte tendenza a considerare la scelta della nostra vita in termini soprattutto di autorealizzazione. Il pericolo è che ciascuno si porti dentro il proprio progetto personale da realizzare senza tener conto di quello della fraternità. Così capita che l’aspetto personale venga esasperato ed accentuato in maniera del tutto individualistica e narcisistica. Chi abbraccia la nostra forma di vita va condotto a prendere coscienza della reale forma di vita alla quale ha rinunciato, solo così potrà consapevolmente assumere ed esercitare quella nuova. L’affidarsi alla fraternità, pronunciato al momento della Professione dei Consigli evangelici, esige un vero e proprio cammino di decentramento, un passare dal mio progetto personale a quello fraterno. In questo contesto sono da porre in discussione anche tutte quelle idealizzazioni del nostro carisma che costituiscono un alibi per non accettare la fraternità reale, quella dei fratelli che il Signore di fatto ci ha dato e non quelli che vorremmo. Chi arriva a noi dopo essere passato per un processo di conversione, sovente, se i tempi dell’accompagnamento non sono stati adeguati e abbastanza lunghi, tende a regredire a forme e visioni non corrispondenti al nostro ideale di vita. La scelta della nostra vita diventa allora un trampolino oppure la piattaforma per qualcosa che ci è profondamente estraneo. Ciò diventa possibile perché una parte di noi stessi non ha ben chiaro ciò che si vuole od anche perché manca la franchezza nel riprendere un fratello che sembra aver abbracciato la nostra forma di vita in modo assai superficiale.
1.5 I frati lavorino
10. Qua e là affiora anche un netto rifiuto per il lavoro manuale e domestico. Abbiamo tanti di quegli impiegati per cui ci abituiamo fin dai primi anni della formazione a farci servire in tutto. Gli uni lo fanno per potersi dedicare pienamente al lavoro pastorale mentre gli altri perché impegnati negli studi. In questo caso è la vita fraterna a rimetterci maggiormente, perché ci riduciamo a pregare e a consumare i pasti insieme, ma per il resto tutto è demandato ad altri. I tanti impiegati rendono altresì molto difficile il necessario ridimensionamento delle nostre presenze e, grazie agli impiegati-stipendiati, riteniamo di potercela fare anche con un numero ridottissimo di frati. Ciò che si rovina e muore è però la testimonianza di fraternità. Che ne facciamo delle ripetute indicazioni dei CPO e di altri documenti dell’Ordine sull’opportunità per cui tutti debbono assumere una parte dei lavori di casa?
2. Qual è lo scopo ultimo della nostra scelta di vita?
2.1 Una vita donata
11. Qual è il nostro ideale di vita, se non quello di un dono totale e incondizionato di noi stessi a Dio e all’umanità tutta intera? Chiediamoci schiettamente: cosa è che dà senso alla nostra scelta di vita? Nella formula di professione diciamo: “Poiché il Signore mi ha ispirato di seguire più da vicino il Vangelo e le orme di nostro Signore Gesù Cristo… faccio voto a Dio e … mi affido con tutto il cuore a questa Fraternità.” Ciò che conta e che caratterizza la nostra scelta di vita è il dono totale e incondizionato di sé. Che senso ha parlare di consacrazione, se poi poniamo delle condizioni e ci riserviamo degli spazi di tempo e di luogo sui quali nessuno ha il diritto di sindacare? Io credo che, nel rispetto della vita interiore di ciascuno, la fraternità possa e debba chiedere ad ogni singolo fratello di vivere fino in fondo ciò che ha promesso. I tre voti abbracciano tutte le sfere della vita, in quanto toccano l’aspetto della libera realizzazione di sé (obbedienza), della proprietà (senza nulla di proprio) e della vita affettiva (castità). La consacrazione sta a dire che abbiamo messo da parte, riservato a Dio e ai fratelli, non solo una parte, ma tutta la nostra vita.
2.2 Seguire le orme del suo Figlio diletto, il nostro Signore Gesù Cristo
12. San Francesco non ha mai smesso di indicare nella sequela di Cristo, umile e povero, il cammino per giungere al Dio Altissimo, Uno e Trino[9]. Conformarci a Colui, che da ricco che era, svuotò se stesso per assumere la condizione di servo (Cfr. Fil 2,7), significa aver ben presente ciò che nostro Signore afferma di se stesso: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la mia vita in riscatto per molti.” (Mc 10,45). Mi vengono in mente le parole del nostro San Pio di Pietrelcina, il quale affermava che sotto la croce si impara ad amare. Il cammino dell’auto-realizzazione cristiana passa per un processo di svuotamento: “chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo la ritroverà” (Mc 8,35) . Ricordiamo anche quell’affermazione forte, secondo la quale non v’è amore più grande di quello di donare la propria vita per chi si ama (Cfr. Gv 15,13). Abbracciare la vita evangelica significa crescere nella dimensione di un amore capace di donarsi, significa imparare ad amare senza mai tirarsi indietro.
2.3 Sull’esempio di Francesco
13. Ne consegue che uno dei valori da perseguire è proprio quello della disponibilità, anche quando ci costa, memori di quanto San Francesco scrive nella Lettera a tutto l’Ordine: “Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre.”[10]
Sulla soglia delle celebrazioni per l’Ottavo centenario dalla conferma della Protoregola da parte di Papa Innocenzo III, ricordiamo come Francesco sia giunto a questa sua scelta di vita, dopo un lungo percorso che lo ha portato ad un vero e proprio decentramento. Se in un primo tempo evitava i lebbrosi perché gli causavano amarezza e rimaneva fermo alle sue sensazioni di ribrezzo, in un secondo tempo, grazie all’intervento di Dio stesso, li incontrò ed usò loro misericordia[11]. In lui avvenne una trasformazione che lo aprì a trecentosessanta gradi: totalmente per Dio e per i fratelli. Non si giunge a non trattenere nulla per sé, se non passando per un processo di profonda e, a volte, anche dolorosa trasformazione. Ma, appunto, la nostra vita diventa bella e sensata proprio a partire da questa dimensione di dono incondizionato, dimensione che siamo chiamati ad assumere consapevolmente.
Mi preme far notare che non mancano coloro che continuano a dare la loro testimonianza di una fedeltà piena di sollecitudine per le persone loro affidate, vivendo in condizioni assai difficili. Ho anche incontrato dei giovani che mi hanno detto: “Ministro, noi siamo pronti a partire per la missione che ci indicherai!” La riforma cappuccina si caratterizza per quel radicalismo al quale accennavo sopra e che la Chiesa stessa non ha mancato di ricordarci: andare laddove nessuno è disposto ad andare[12] e compierlo con gioia[13]. Solo un cuore che ama e che vuole il bene del fratello e della sorella più abbandonati, è capace di fare questo.
3. Quali sono i valori da trasmettere alle nuove generazioni cappuccine?
14. Per cogliere fino in fondo la dimensione del dono incondizionato di sé, l’iniziazione alla nostra vita deve cimentarsi nella trasmissione di determinati valori e deve interrogarsi sulle modalità ed i tempi di questa trasmissione. Il cammino formativo esige, inoltre, una puntuale verifica di quanto si è trasmesso. E non ha senso parlare della trasmissione dei valori centrali della nostra vita, se, nel contempo, non si avverte la forte necessità di ribadire l’esigenza di incarnare gli stessi valori nel vissuto quotidiano di ogni fraternità e di ogni singolo frate. Non esiste nulla di maggiormente diseducativo della mancanza di coerenza da parte dei formatori e, per un certo verso, tutti quanti siamo chiamati ad essere formatori, se non altro con il nostro esempio. È questo un campo dove non è possibile assumere una posizione di neutralità: o siamo formatori oppure diventiamo dei deformatori!
3. 1 La scelta della vita fraterna in minorità
15. Il fine ultimo della nostra scelta di vita è la consacrazione, il dono di noi stessi. Ogni gesto e ogni atto prende senso a partire dalla consacrazione di noi stessi. Va aggiunto inoltre che vi è una modalità insostituibile nel nostro modo di realizzarlo. Si tratta dell’identità fraterna minoritica, eredità preziosa di San Francesco. Questo aspetto è stato abbondantemente approfondito in questi ultimi decenni e sono stati compiuti diversi passi presso l’Autorità della Chiesa per avere il riconoscimento del nostro carisma quale ce lo ha lasciato San Francesco. Chi sceglie la nostra vita, sceglie in primo luogo di diventare un fratello minore. Questa è la scelta fondamentale e che sta a monte di ogni specificazione susseguente. Nell’Ordine fondato da San Francesco non ci sono categorie, ci sono fratelli e c’è ogni fratello. Ne consegue che la vita fraterna e la capacità di relazionarci a tutti indistintamente, deve avere il primato nel nostro cammino quotidiano. I miei predecessori hanno scritto pagine intense su questo ed i CPO (cfr. I, 20-22; II, 22; IV, 14. 22; VII, 7) più volte hanno messo debitamente in luce lo stesso aspetto. Tuttavia, la prassi lo conferma, l’Ordine è ancora fortemente proiettato a favorire in primo luogo la formazione dei frati orientati agli ordini sacri. Nella formazione iniziale, in particolare durante il postnoviziato, l’inserimento degli studi filosofici e teologici, privilegia di fatto la scelta clericale. Siamo un Ordine di fratelli secondo la «rivelazione» che il Signore fece a Frate Francesco, donandogli dei fratelli e mostrandogli di dover vivere secondo la forma del Santo Vangelo[14]. Le nostre Costituzioni affermano perciò: “Vivere insieme tra noi come frati minori è l’elemento primordiale della vocazione francescana. Perciò la vita fraterna deve essere sempre e dovunque esigenza fondamentale del processo formativo.” (Cost. n. 23, 4)
3.2 La dimensione contemplativa
16. San Francesco attribuisce il suo cammino di conversione e l’inizio della nuova fraternità evangelica minoritica all’intervento di Dio stesso. Perciò non cesserà mai di restituire a Dio ciò che gli appartiene, in una preghiera che assume soprattutto i connotati del lodare, onorare, benedire, ringraziare, dare gloria. E Francesco non si stanca di invitare i suoi frati a fare altrettanto, allargando l’invito a tutti i popoli, ai governanti, a tutte le creature. Lo abita la consapevolezza di un amore che lo raggiunge in ogni momento della sua esistenza e per questo inventa forme sempre nuove per proclamarlo e per coinvolgere a fare altrettanto il maggior numero di uomini e donne. La lode nasce dalla contemplazione, dal soffermarsi prolungato in meditazione dei grandi eventi della storia della salvezza. È così che si spiega il suo prorompere nell’affermazione entusiasta: “Tu sei tutto, Tu sei la nostra ricchezza a sufficienza!”[15].
La riforma cappuccina è sorta a partire da un desiderio profondo di ritornare agli eremi, luoghi appartati, che favoriscono il tu per tu con Dio. Le nostre Costituzioni, fin dalle prime pagine, ci invitano “a dare la priorità alla vita di preghiera, specialmente contemplativa” (Cost. n. 4,3). Lo stare prolungato in presenza di Dio, donandogli tempo e affetti, non ha impedito ma piuttosto reso più viva la capacità di percezione delle sofferenze altrui ed i frati, quando si manifestava la necessità di un aiuto concreto, non frapponevano nessun ostacolo e con slancio si mettevano al servizio dei più bisognosi. Senza risparmiarsi. Mi chiedo se le reticenze osservabili nel campo della missione non nascano da un affievolirsi nell’Ordine della dimensione contemplativa. Chi contempla un Dio che si dona tutto a noi, un Dio felice proprio nel gesto di donarsi[16], non può rimanere indifferente e non può nemmeno rimanere con le mani in mano. Da una vita di preghiera a metà non può nascere che un servizio a metà, fragile, che si tira indietro al primo ostacolo incontrato lungo il cammino.
17. “Il primato dello spirito e della vita di preghiera sia messo pienamente in atto sia dalle fraternità sia dai singoli frati, dovunque essi si trovino, come è richiesto dalle parole e dall’esempio di San Francesco e dall’autentica tradizione cappuccina.” (Cost. n. 53,1). Sovente ci accontentiamo di aver partecipato alla preghiera della fraternità, di aver detto il breviario anche da soli, senza preoccuparci di compiere un passo ulteriore, quello di acquisire lo spirito della preghiera. Quest’ultimo non può sorgere se non sul terreno dell’interiorità pazientemente coltivata. Come arrivarci se passiamo ore e ore a consumare indistintamente quanto viene offerto dai mezzi di comunicazione? È impensabile arrivarci senza capacità di rinuncia e senza avere in chiaro quali sono le priorità della nostra vita.
3.3 Vicini ai poveri
18. Le nostre Costituzioni non si stancano di ribadire due aspetti fondamentali della nostra scelta di vita francescana di povertà: “coltiviamo una povertà radicale, sia personale che comunitaria, insieme allo spirito di minorità” (Cost. n. 4, 3). Nel paragrafo seguente leggiamo: “Mentre teniamo fra noi un rapporto familiare come fratelli, condividiamo con gioia la vita con i poveri, con i deboli e i malati, e custodiamo la nostra caratteristica di frati del popolo.” (Cost. n. 4, 4)
Quanto affermano le Costituzioni è chiaramente il riflesso della volontà di San Francesco espressa con molta forza in alcuni passi della Regola non bollata: “Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se non il cibo e le vesti, e di questi ci dobbiamo accontentare.” E subito dopo Francesco aggiunge: “E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada”[17]. Le sue sono parole dettate dall’esperienza personale in quanto aveva imparato sulla propria pelle cosa significasse avvicinarsi ai lebbrosi e usare loro misericordia[18]. “Identificandoci con l’esperienza di Francesco, andiamo verso i ‘lebbrosi’ del nostro tempo impegnandoci a usare con essi ‘misericordia’.” (CPO VII, 2a). Raramente i poveri sono comodi ed è naturale sperimentare in noi il desiderio di scansarli, di comportarci come il sacerdote ed il levita del Vangelo (Cfr. Lc 10). Proprio per questo siamo chiamati ad un lungo cammino di conversione per imparare a farci loro compagni di cammino e per alleviare le loro pene. Se nella nostra mente si insinuasse la preoccupazione di evitare quanto più possiamo ogni presenza o compagnia con i più poveri e abbandonati del nostro tempo e della società nella quale viviamo, allora c’è da chiedersi seriamente con quale diritto continuiamo a portare il nome di «frati minori»?
3.4 Il carisma del rinnovamento continuo
19. Il compito primo e prezioso della formazione “è la promozione dei frati e delle fraternità, in modo che la nostra vita sia di giorno in giorno sempre più conforme al santo Vangelo e allo spirito francescano, secondo le esigenze dei luoghi e dei tempi” (Cost. n. 22,1). Questa affermazione generale delle nostre Costituzioni abbraccia il tempo sia della formazione iniziale che di quella specifica e di quella permanente. Un cammino che prevede un percorso di crescita. Lo stesso testo delle Costituzioni parla poi di «formazione integrale» sottolineando che tutta la persona è coinvolta. Noi cappuccini siamo nati come un movimento di riforma, con una forte esigenza di radicalità, per cui la preoccupazione del rinnovamento continuo dovrebbe semplicemente far parte del nostro DNA! Le nostre Costituzioni non lasciano alcun dubbio a tal proposito quando affermano: “Noi però dobbiamo rinnovarci continuamente se vogliamo offrire una chiara testimonianza di un tal genere di vita.” (Cost. n. 15, 1) Quanti di noi sono coscienti del fatto che le nostre Costituzioni contengono un intero capitolo, il settimo, che ha come titolo: “La vita di penitenza dei frati”? Sta qui contenuto uno dei valori tipici della nostra riforma, quello dell’austerità. “Lo spirito di penitenza in una vita austera è caratteristica del nostro Ordine; infatti, sull’esempio di Cristo e di san Francesco, abbiamo scelto una vita stretta.” (Cost. n. 101, 5) A che punto sta la scelta della via stretta, quando ci lamentiamo non appena viene a mancare qualcosa o non viene soddisfatto immediatamente il desiderio di avere il tale o il talaltro sofisticato oggetto? Il VII CPO chiede a tutte le fraternità di impegnarsi “in una sincera revisione del nostro stile di vita puntando ad una effettiva solidarietà, evitando inutili sprechi, l’esagerato uso delle macchine e altri mezzi della tecnologia moderna, domandandoci se effettivamente quanto possediamo sia essenziale per la missione che ci deriva dal nostro carisma.” (VII CPO, 26)
4. In che modo trasmettere questi valori durante la formazione iniziale?
20. Gli obiettivi della formazione iniziale sono formulati in modo chiaro e integrale dalle nostre Costituzioni al n. 25, dove si afferma che i candidati, guidati dai formatori, vanno avviati progressivamente alla vita francescana evangelica. L’integralità di questo processo di iniziazione viene esplicitato in seguito così come anche le singole tappe: postulato, noviziato e postnoviziato. Ciò comporta un’apertura continua e generosa, a Dio, alla fraternità e al mondo intero. Se l’obiettivo finale della formazione iniziale è quello del dono di sé generoso e incondizionato alla sequela di Cristo sulle orme di Francesco, le diverse tappe devono servire precipuamente per questo. Dove si avverte che ci sono problemi nell’ottenere questo risultato è necessario rivedere e riaggiustare le modalità per raggiungere quello spirito di disponibilità a tutto campo. Va ricordato, ancora una volta e come principio generale, la necessità di avere un itinerario educativo uguale per tutti i candidati lungo tutte e tre le tappe della formazione iniziale.
21. Desidero chiarire il mio pensiero perché temo che, non appena si accenna alle correzioni che vanno apportate a certi percorsi formativi, soprattutto quando si tocca la tappa del postnoviziato, ci si perde in una lunga ed inutile disquisizione sul fatto che questa tappa debba o meno prevedere lo studio della filosofia in vista poi della teologia. Il nocciolo della questione non è questo, ma piuttosto quello di identificare la formula che meglio permette di raggiungere l’obiettivo formulato sopra: una disponibilità a tutto campo. Il riferimento primario anche di questa tappa deve essere quello della consacrazione religiosa e della professione della nostra vita, e non quello della preparazione per l’espletamento di compiti e/o ministeri specifici.
22. Non è qui il caso di inventare qualcosa di nuovo, ma semplicemente ribadire e mettere debitamente in luce quanto è proposto dalle nostre Costituzioni. Vi sono, infatti, degli elementi che vennero introdotti consapevolmente e di cui ancora non è stata colta l’intera portata. Mi riferisco in particolare al fatto che quando le Costituzioni parlano di formazione iniziale si usa la categoria della iniziazione.
4.1 Un cammino iniziatico
23. Le nostre Costituzioni distinguono tre tappe del cammino formativo che deve investire tutta la nostra vita: iniziazione alla nostra vita, formazione speciale e formazione permanente. L’iniziazione è orientata alla consacrazione religiosa secondo la specificità della nostra forma di vita e al progressivo inserimento nella nostra fraternità attraverso il postulato, il noviziato e il postnoviziato (Cost. n. 27). L’iniziazione alla nostra vita si pone in funzione dell’essere frati, mentre la formazione speciale si pone in funzione dell’agire dei frati. Con formazione speciale o specifica le Costituzioni intendono il percorso di preparazione iniziale alla vita apostolica che ognuno di noi è chiamato a svolgere o nel ministero ordinato o con un’attività di tipo professionale, variamente intesa.
Il termine iniziazione venne introdotto nelle Costituzioni del 1968 e venne scelto deliberatamente in analogia alla ««iniziazione cristiana». Ciò sta a significare che l’accento principale nel cammino formativo è posto sulla trasmissione e sull’apprendimento progressivo dei valori e degli atteggiamenti fondamentali della nostra vita, valori ai quali ho poco sopra accennato, anche se brevemente. Al centro della preoccupazione del formatore non deve esserci la constatazione di quanto un candidato conosce a proposito della nostra forma di vita, con tutti i riferimenti storici del caso, ma piuttosto di quanto ha fatto suo. Il cammino formativo comporta necessariamente un cammino di trasformazione ovvero una conformazione a un modello di vita quale ci viene proposto da Cristo stesso e da San Francesco. Il carisma francescano cappuccino non è qualcosa di astratto: sono le singole persone ad incarnarlo. Quanti di noi hanno abbracciato questa vita perché hanno incontrato un frate che li ha impressionati profondamente! Da lì è nato il desiderio di abbracciare la stessa forma di vita. Ciò non avviene in un sol giorno, ma esige un cammino da percorrere progressivamente e dove è pure necessario lasciarsi guidare. Ecco perché la dimensione iniziatica della formazione iniziale va ulteriormente approfondita: dobbiamo elaborare una visione integrale del cammino da proporre in vista di raggiungere una solida conformazione al nostro carisma. Occorre tratteggiare le modalità di questo cammino progressivo, in modo che i vari agenti della formazione, ministri e formatori incaricati delle varie tappe della formazione iniziale, dispongano di riferimenti validi e sicuri per svolgere il loro servizio.
24. Al formatore incombe una grande responsabilità. La sfida che ha davanti a sé non è cosa da poco e va pure considerata dal punto di vista della bellezza di un tale percorso. In fondo si tratta di introdurre qualcuno in una forma di vita che è stata personalmente abbracciata e della quale ci si sente di andar fieri. Il formatore è chiamato ad esercitare una vera e propria paternità psichica e spirituale, favorendo il cammino di crescita, lasciando a ciascuno il tempo di assimilare e di maturare, intervenendo quando si tratta di riaggiustare il cammino e di lanciare il candidato verso una nuova tappa. Si tratta necessariamente di un percorso progressivo che deve proporre, a chi si è messo su questa strada, delle sfide graduali. La formazione dovrà essere configurata in modo da consentire una reale crescita nella maturità affettiva, nella fede «adulta» e nella interiorizzazione dei valori. L’iniziazione porta con sé anche l’aspetto esperienziale, momenti nei quali il fratello in formazione viene confrontato concretamente con i vari risvolti dei valori di cui si parlava. Non dimenticherò mai a tale proposito quanto fu arricchente per me il mese in cui fui inviato a vivere insieme ai barboni della città di Zurigo durante il mio cammino di formazione. A momenti pensavo di non farcela, perché veniva meno l’ambiente sereno e protetto del convento, eppure appresi a vedere il povero non più sotto il manto del romanticismo, ma come una persona in grave difficoltà e il più delle volte segnata in tutte le dimensioni del suo essere. Ringrazio i miei formatori di allora che ci prepararono a vivere questa esperienza ed in seguito ci aiutarono a prendere coscienza del cammino compiuto. In questo senso il cammino formativo deve assumere i connotati di un vero e proprio processo e va evitata ogni forma di frammentazione.
25. Per i formatori delle varie tappe è importante potersi avvalere dell’appoggio di fraternità che si sentano coinvolte e corresponsabili nel compito formativo. Il dovere della iniziazione e della formazione iniziale specifica è di tutta la fraternità. È quindi compito dei Ministri prestare particolare attenzione quando si formano le fraternità nelle quali si compiono le singole tappe del cammino di iniziazione alla nostra vita. Mi pare pure utile richiamare i Ministri a seguire con molta attenzione e con solerzia tutte le persone impegnate nel cammino formativo iniziale.
26. La nostra legislazione ci indica tre trappe precise della iniziazione alla nostra vita: postulato, noviziato e postnoviziato. Ciascuna di esse persegue un suo obiettivo che costituisce poi la base sulla quale costruire il prossimo. Il traguardo rimane quello della professione perpetua, la consacrazione generosa di tutta la propria vita a Dio nell’Ordine. La decisione a compiere questo passo deve scaturire da una frequentazione assidua del Mistero dell’amore di Dio rivelato in Gesù Cristo. Essa non può essere che la risposta generosa che il chiamato si sente di dare a Colui che da sempre lo ha preceduto in un atto di amore generoso e incondizionato. Ciò significa che il cammino formativo abbia assunto, in modo concreto e progressivo, la caratteristica di un cammino mistagogico. Mi chiedo se alle volte, di fronte al continuo rinvio della decisione di emettere la professione perpetua, non si nasconda il fatto che il candidato sia rimasto fondamentalmente centrato su se stesso, incapace di cogliere il Cristo che a noi si è donato nella pienezza del suo gesto di amore. Il timore di perdere qualcosa, di orizzonti di vita che non potranno essere scandagliati perché la scelta che mi è chiesta è definitiva, rivela, una volta ancora, l’attaccamento a se stessi, il mancato passaggio dall’io al tu di Cristo. Le tante defezioni nel periodo della professione temporanea potrebbero trovare una loro ragione profonda nel fatto che in questo tempo il cammino dell’iniziazione subisce una forte battuta d’arresto e la priorità viene data all’apprendimento delle materie propedeutiche della teologia. Non basta inserire un paio di mesi (o anche un anno) prima della professione perpetua per riprendere il cammino mistagogico. La frammentazione non può dare che frutti problematici e immaturi.
4.2 Accompagnamento personalizzato
27. Il cammino della iniziazione è una proposta fatta a tutti i candidati alla nostra vita nelle varie tappe del cammino formativo iniziale. Tuttavia, esso esige di essere affiancato da un accompagnamento personalizzato, perché il modo di accogliere ed integrare quanto proposto, varia da individuo ad individuo. Ciò vale per i candidati che vengono a noi in età adulta come per quelli in giovane età. Chi sceglie la nostra vita, è chiamato a lasciare dietro di sé tutta una realtà di affetti e di realizzazioni per abbracciarne di nuovi e, non sempre, immediatamente congeniali. Il passaggio che abbiamo descritto può anche non avvenire, anche se in apparenza il candidato possa dare l’impressione di essersi adeguato a tutti i comportamenti a lui richiesti. L’accompagnamento personale permette al candidato di prendere atto delle sfide presenti in ogni passo che gli viene proposto dal formatore, di rendersi conto che un’adeguazione solamente esteriore non potrà mai renderlo felice. Impara altresì ad identificare gli scogli per lui maggiormente difficili da superare, ma impara anche a conoscersi meglio e a gustare nel profondo di se stesso la bellezza del cammino che gli è proposto. È indispensabile che diventi cosciente di cosa vuole fare della sua vita di fronte alla chiamata che il Signore gli ha rivolto.
28. Il cammino formativo esige inoltre che vi siano delle verifiche puntuali del cammino percorso da ogni singolo candidato. L’accompagnamento gli permetterà di prendere atto dell’avvenuta interiorizzazione dei valori proclamati e di constatare se stanno già marcando la sua vita, le sue scelte, il suo modo di pensare e di agire. Integrare e consolidare dei valori nuovi esige un cammino paziente, lento, progressivo. Perciò non ci si può accontentare del fatto che qualcuno sia diventato un ottimo esecutore di quanto gli viene proposto. Il fatto di ottemperare esattamente a quanto viene richiesto non rivela necessariamente cosa si annida nel cuore del candidato alla nostra vita. In questo trovo assolutamente geniale quanto ci ha lasciato San Francesco quando parla dell’obbedienza caritativa. Ciò rivoluziona completamente il discorso e fa fare un salto qualitativo di grandissimo rilievo. Obbedire sovente significa semplicemente eseguire un ordine e ciò lo posso fare anche senza aderire interiormente a quanto mi viene chiesto. Nel migliore dei casi aderisco e lo faccio compiendo un atto di fiducia in chi mi ha chiesto una cosa. Da passivo divento attivo! Faccio mio ciò che in un primo momento mi appariva come un’ingerenza proveniente dall’esterno. Ma Francesco, nella III Ammonizione, esplicita il suo pensiero che anche le nostre Costituzioni riprendono e strutturano bene (Cost. n.164-167), proponendoci un tipo di obbedienza che supera quella semplicemente esecutrice per assumere i connotati dell’iniziativa personale[19]. Non attendo che mi si chieda qualcosa, ma proprio perché sono attento ai bisogni che incontro, assumo l’iniziativa e mi faccio avanti. Divento propositivo nei confronti del singolo fratello e della fraternità tutta intera. C’è chi non assume mai un’iniziativa per paura di sbagliare e di doverne portare le conseguenze. Ciò è molto pericoloso perché significa che qualcuno cresce unicamente nel segno della paura. Basti pensare alla parabola dei talenti come è riferita da Luca! (Cf. Lc 19). C’è veramente da interrogarsi quando un candidato non manifesta mai un interesse particolare per la nostra storia, per i singoli fratelli o per le opere di una Circoscrizione. Sarà presente fisicamente, ma nessuno sa dove sta con il cuore!
29. Compete in primo luogo al formatore responsabile di una tappa specifica accompagnare il candidato nel cammino di integrazione dei valori significativi della nostra particolare forma di vita. Tocca a lui prospettargli la meta da raggiungere e le modalità del cammino per arrivarci. Con ciò stesso egli è di più di un osservatore neutrale, in quanto coinvolge la sua persona e la sua stessa scelta di vita nel delicato compito che gli è stato affidato. Convinto della bontà della nostra forma di vita, non teme di proporre al fratello che accompagna nuove sfide in vista della meta da raggiungere. Se gli sta a cuore la crescita del candidato, non mancherà, se necessario, di interpellarlo e di farlo uscire dal suo torpore. Come accennato sopra, il formatore è chiamato ad esercitare una paternità, in quanto il suo compito sta nel promuovere la crescita umana e spirituale del giovane che gli è affidato. In questo senso mi pare si tratti di un compito affascinante e di grande responsabilità. Oggi molti temono di assumere un tale compito. Il loro timore non è dovuto unicamente al fatto di ritenere di non essere sufficientemente equipaggiati per un tale compito, ma forse ancor di più per la distanza che intercorre fra loro e il resto della fraternità. L’incertezza del formatore il più delle volte non è che un riflesso di quella di tutta la fraternità. Non basta aver acquisito una competenza di tipo professionale se la fraternità come tale sembra aver perso la bussola ed attraversa una profonda crisi di identità. In questo senso il formatore non può sopperire alle lacune di tutto un gruppo. Con ciò voglio dire che la crisi dei formatori è sempre anche la crisi di tutta una fraternità. Dobbiamo fare ancora molto per migliorare la preparazione specifica dei formatori, dotandoli di strumenti umani e spirituali adeguati, ma ciò non basta. Ai responsabili delle varie Circoscrizioni vorrei ricordare fino a che punto è importante la formazione permanente intesa come cammino di rinnovamento continuo della nostra vita. In questo senso mi pare del tutto evidente che molte delle difficoltà che incontriamo sul piano della formazione iniziale non sono altro che il riflesso di una crisi che si sta vivendo su di un altro piano. Da qui dovrebbe nascere la consapevolezza che stiamo tutti di fronte ad una sfida a tutto campo e che vi è una responsabilità che coinvolge tutti. Non mi fanno paura i frati che affermano che l’Ordine sta passando attraverso una crisi di identità, ma quelli che, rassegnati, hanno abbandonato ogni ricerca e non si preoccupano minimamente di avanzare verso nuovi orizzonti. Ai formatori dobbiamo molta riconoscenza e tutto l’Ordine deve sentirsi impegnato ad appoggiarli creando le condizioni perché possano svolgere serenamente il loro lavoro.
5. I tempi del cammino formativo iniziale – alcuni appunti
30. Portare un candidato fino alla professione perpetua, verificando che vi sia stata una progressiva assimilazione dei nostri valori e che sia ormai in grado di impostare la sua vita e le relative scelte a partire dalla sua consacrazione a Dio nella nostra fraternità, esige, accanto alle modalità già ampiamente presentate, anche il tempo necessario perché ciò possa avvenire. Saggiamente le nostre Costituzioni hanno previsto tre tappe con una durata minima di 5 o 6 anni: postulato, noviziato e postnoviziato. La realtà si è fatta molto complessa e oggi non possiamo fare a meno di differenziare il discorso circa i tempi necessari per attuare il cammino della formazione iniziale. Una volta ancora questa lettera non intende affrontare tutti i quesiti e le difficoltà che si presentano lungo questo cammino, mi preme però mettere in luce alcune problematiche ed indicare alcuni punti nodali, dove l’Ordine è chiamato ad assumere delle decisioni che orientino diversamente il cammino.
5.1 Il postulato
31. Entrando nel merito dei percorsi di formazione iniziale dell’Ordine, dobbiamo tener conto di due dati fondamentali: vi sono aree geografiche, tendenzialmente quelle del nord, nelle quali chi viene a noi lo fa per lo più in età adulta ed avendo dietro di sé un cammino di vita e di ricerca più o meno lungo, mentre in altre, e si tratta soprattutto di quelle del sud, vige un curriculum di tipo seminaristico, dove i giovani si avvicinano alla nostra vita intorno se non prima di aver compiuto vent’anni. Per ragioni diverse, in ambedue i casi, si avverte la necessità di allungare il periodo che precede il noviziato. Nel nord, molti candidati vengono a noi in seguito ad un’esperienza di conversione e dopo aver tralasciato per molto tempo ogni pratica religiosa, per cui si avverte urgentemente il bisogno di un adeguato cammino catechetico e di un’integrazione progressiva dei valori religiosi di fondo. Nel sud, a motivo dell’età assai giovane dei candidati, si avverte la necessità di favorire un processo di maturazione che permetta poi di compiere scelte consapevoli e responsabili. Ecco perché alcune Circoscrizioni, mi riferisco soprattutto a quelle dell’India, hanno previsto accanto al tempo dell’aspirandato, due anni di postulato, più un anno di prenoviziato. Per ragioni diverse la necessità di allungare i tempi che precedono il noviziato sembra essere un’esigenza comune a tutte le Circoscrizioni dell’Ordine. La scelta di intensificare questo periodo e di differenziarlo nelle proposte formative è quanto mai lodevole e necessaria. Tutta questa fase va dedicata principalmente al discernimento vocazionale e chi chiede di essere ammesso al noviziato deve essere in grado di essere pienamente consapevole di ciò che chiede. Alcune Circoscrizioni, proprio nell’intento di allungare i tempi del discernimento e favorire una sana maturazione prima dell’entrata in noviziato, hanno scelto di anticipare lo studio della filosofia durante il periodo del postulato. C’è semplicemente da chiedersi se non sia più opportuno perseguire lo stesso scopo applicando ed approfondendo quanto proposto dalle nostre Costituzioni per questa prima tappa della formazione iniziale?[20]
5.2 Il noviziato
32. Il noviziato sembra essere la tappa che fa meno problema. Decisamente è anche la tappa maggiormente protetta dalla legislazione della Chiesa. È durante questo periodo che i candidati vengono iniziati più intensamente alla nostra vita e ne fanno una più profonda esperienza (Cost. n. 29). Laddove il noviziato è comune a più Circoscrizioni, sorgono qua e là delle difficoltà circa l’impostazione più o meno rigida da dare allo stesso. In genere, il pericolo mi pare essere quello di una eccessiva idealizzazione di questa tappa, per cui si può essere portati a pensare che questo anno sia sufficiente a gettare le basi per tutta la vita che segue. Lo deduco dal fatto per cui in molti luoghi il periodo che segue, quello cioè del postnoviziato, è consacrato in primo luogo agli studi accademici, trascurando la dimensione iniziatica di questa tappa formativa. Questo è un nodo che esige una riflessione approfondita da parte di tutti. Riflessione alla quale dovranno seguire, prima o poi, anche delle decisioni adeguate.
5.3 Il postnoviziato
33. È ora importante portare la nostra attenzione alla tappa del postnoviziato. Da anni questa è la tappa maggiormente controversa e che solleva il maggior numero di interrogativi. Forse abbiamo fatto del noviziato un mito per cui la tappa successiva appare assai sbiadita sia nei suoi contenuti che nelle sue modalità. Il postnoviziato va considerato in primo luogo come il tempo in cui i valori appresi durante il noviziato vanno approfonditi ed integrati nella vita di ogni singolo fratello professo temporaneo in condizioni di quotidianità. Di fatto, nessuno potrà essere ammesso alla professione perpetua, se questi valori, oltre ad essere integrati, non saranno anche consolidati ed il singolo candidato dia sufficienti garanzie di poter vivere con impegno e serenità i suoi voti. Vissuta con coerenza, la nostra vita è fonte di gioia e di serenità! Non possiamo esimerci dal verificare che i valori proposti siano entrati a far parte effettivamente della vita del professo temporaneo. Ciò prende tempo ed esige modalità formative adeguate. La meta rimane quella della consacrazione definitiva e del consolidamento di un atteggiamento di disponibilità incondizionato alla fraternità per il bene e la crescita del Regno di Dio.
34. Trattando di questo argomento, il pericolo immediato è quello di perdersi in una sterile diatriba circa le modalità di come strutturare questo periodo. Di per sé non si tratta tanto di discutere se durante il postnoviziato si debbano contemplare gli studi o meno. Va da sé, e nessuno lo contesta, che anche il postulato e il noviziato sono tempi di studio. Lo deve essere anche il tempo del postnoviziato. Piuttosto c’è da chiedersi: che genere di studi fare durante il postnoviziato? Le nostre Costituzioni non escludono lo studio durante questo periodo: esse prevedono che: “i frati, in armonia con la propria indole e grazia, si applichino ad uno studio più profondo della Sacra Scrittura, della teologia spirituale, della liturgia, della storia e spiritualità dell’Ordine, ed esercitino varie forme di apostolato e di lavoro anche domestico. Tale formazione venga sempre fatta tenendo conto della vita e della maturazione progressiva della persona” (Cost. n. 30,3). È evidente che il tipo di studio previsto dalla nostra legislazione mira in primo luogo a rafforzare l’inserimento nella vita consacrata e all’approfondimento dei vari aspetti del nostro carisma. D’altronde nel paragrafo precedente, le Costituzioni affermano che “la vita evangelica fraterna occupa il primo posto anche durante il postnoviziato”, per cui “le deve essere data la priorità. Per questo si dia a tutti i frati la medesima formazione religiosa per la durata e nelle modalità stabilite dal Ministro provinciale con il consenso del suo Definitorio.” (Cost. n. 30,2) Il IV CPO ne parla in questi termini: “è il periodo di approfondimento e di maturazione dell’impegno assunto nella prima professione e prepara i frati alla professione solenne come scelta definitiva della vita evangelica” (CPO IV, 67). Questi testi parlano di studio e di approfondimento finalizzati alla scelta definitiva della nostra vita, non parlano di formazione speciale finalizzata all’ottenimento degli ordini sacri (Cfr. Cost. n. 39). Non dimentichiamo che l’accento è posto sul fatto che questa formazione è destinata a tutti i frati in quanto frati; il che significa che questa finalità sta alla base e a monte della iniziazione alla nostra forma di vita, e prescinde dalla scelta di orientarsi o meno verso gli ordini sacri. Di fatto però, per quanto il termine «postnoviziato» sia ormai di uso comune nell’Ordine, esso sembra essere inteso in primo luogo come nuova denominazione di quello che una volta veniva chiamato Studentato filosofico-teologico o Seminario.
35. Da quanto ho esposto circa le tendenze che preoccupano, i valori da trasmettere e le modalità ed i tempi per farlo, credo che l’argomento centrale di tutta la discussione non possa essere quello se prevedere o meno gli studi nel periodo del postnoviziato, ma piuttosto quello circa la modalità e i tempi che maggiormente permettano di promuovere una progressiva iniziazione alla nostra vita e ai valori che ne sono a fondamento. E non è nemmeno questione di modelli vari: esperienziale o seminariale[21]. A questo proposito dobbiamo cercare di essere molto coerenti, perché si corre il pericolo di voler raggiungere vari obiettivi contemporaneamente: per esempio quello della preparazione alla professione perpetua e quello della formazione in vista degli ordini sacri. Non ci rendiamo conto, purtroppo, che così si favorisce una mancanza di chiarezza, tutta a detrimento dell’obiettivo primario da raggiungere, e cioè: la maturità affettiva, la fede «adulta» e l’interiorizzazione dei nostri valori, premesse fondamentali per accedere alla professione perpetua, ma anche, se si vuole, condizioni indispensabili per affrontare lo studio scientifico della filosofia e della teologia con le sue esigenze serie e coinvolgenti.
Al n. 22 del IV CPO si affermava: “Bisogna distinguere chiaramente la formazione al sacerdozio o ad una professione. Nei primi anni della iniziazione, soprattutto, la formazione alla nostra vita deve avere la priorità assoluta.” Nei casi in cui il programma del postnoviziato attualmente prevede l’inserimento di parte della formazione speciale, bisogna valutare la sua impostazione e verificare sino a che punto essa corrisponde alle esigenze della iniziazione alla nostra vita in conformità alle Costituzioni; soprattutto bisogna predisporre un programma che salvaguardi effettivamente il riferimento primario alla consacrazione religiosa e alla nostra forma di vita fraterna, assicurando di fatto e in tutto la medesima formazione a tutti i candidati.
36. Di fronte a quelle tendenze inquietanti che ho sottolineato all’inizio della lettera, dobbiamo interrogarci seriamente sulla via da prendere per raggiungere l’obiettivo: la donazione totale, gioiosa e disinteressata di sé in ciascuno dei candidati alla nostra vita. Con questa lettera intendo comunicare a tutti i frati dell’Ordine ciò che sta a cuore a me e al Definitorio generale per porre in luce le difficoltà del momento ma soprattutto per coinvolgere l’Ordine in una riflessione costruttiva circa le modalità per raggiungere, in condizioni mutate, quella disponibilità a tutto campo che mi pare essere il frutto più bello di ogni cammino di consacrazione. Sono cosciente che vi sono Circoscrizioni che conoscono altri tipi di difficoltà, diverse da quelle sopra menzionate, ma ciò che è importante è la possibilità di instaurare un clima di scambio fraterno su un tema tanto delicato, qual è quello della formazione iniziale. Il dialogo deve avvenire sempre alla luce di ciò che abbiamo promesso e a cui intendiamo condurre le persone che chiedono di abbracciare la nostra forma di vita. In altre parole, ognuno di noi è tenuto ad aver sempre presente il carisma che ci ha lasciato San Francesco e quanto la riforma cappuccina ha maturato. Non possiamo contentarci di soluzioni a basso prezzo, magari individuate attraverso il riferimento a un mal compreso criterio della pluriformità. Le forme possono essere diverse, ma non certo di basso valore!
6. Punti fermi
37. Vogliamo dialogare con voi tutti su come migliorare il percorso della formazione iniziale all’interno del nostro Ordine. Il che non significa voler ridefinire tutto da capo. Quanto affermato dalle Costituzioni è valido ed esige di essere attuato con esattezza e fedeltà: la grande intuizione dell’Ordine circa la iniziazione dei candidati alla nostra vita non è stata ancora compresa e neanche sufficientemente approfondita. Di conseguenza, salvo aggiustamenti piuttosto marginali ed espedienti episodici, in genere l’impostazione della formazione iniziale è rimasta pressoché quella tradizionale.
Le Costituzioni comunque potranno essere ulteriormente arricchite e precisate. Anzi proprio in riferimento ad alcuni aspetti della formazione, le Costituzioni dovrebbero essere integrate affinché nella nostra Fraternità si sviluppi maggiormente il senso di comunione e di collaborazione non solo delle Circoscrizioni tra di loro, ma anche con il centro dell’Ordine e questo possa offrire all’intera Fraternità ogni possibile contributo per la iniziazione dei candidati e la formazione iniziale e permanente dei frati . Il delicato settore della formazione costituisce una sfida continua per tutti; se da un lato esso investe immediatamente la responsabilità dei Ministri delle Circoscrizioni, dall’altro lato, altrettanto immediatamente, chiama in causa il Ministro generale, che a questo livello, assieme al suo Definitorio, deve assolvere una particolare funzione di animazione e di governo, cui non può abdicare, dal momento che la formazione dei propri religiosi è un dovere-diritto inalienabile di ogni Istituto.
38. Si avverte poi l’esigenza di dotare l’Ordine di una Ratio formationis o «Progetto formativo», nel quale siano esposti gli obiettivi, i programmi e gli itinerari concreti di tutto il processo formativo dei frati. Prima di porre mano ad un tale lavoro e quale suo presupposto, è necessario che si definisca e si descriva almeno a grandi linee lo specifico percorso della iniziazione alla nostra vita nelle tre tappe del postulato, del noviziato e del postnoviziato. La “iniziazione alla nostra vita”, considerata dalle Costituzioni in analogia alla iniziazione cristiana, implica la concreta delineazione di un cammino «catecumenale» che conduce alla professione perpetua nel nostro Ordine.
È ugualmente necessario che venga meglio delineato il tipo di formazione specifica per i frati che si preparano agli ordini sacri. Solo dopo questi lavori preliminari sarà possibile orientarsi al lavoro della Ratio formationis o del «Progetto formativo» strettamente inteso. Sin da ora impegniamo il Segretariato Generale della Formazione affinché, con il contributo di «esperti», aiuti l’Ordine a porre i dovuti passi in questa direzione.
Anche le singole Circoscrizioni o gruppi di Circoscrizioni, come già previsto dalle Costituzioni (Cost. n. 24,7), debbono avere un loro piano formativo. Questi strumenti particolari debbono essere coerenti col nostro carisma.
39. Desidero inoltre ricordare altri aspetti che l’Ordine è andato maturando negli ultimi tempi e che vanno considerati come «punti fermi» e di riferimento anche per l’avvenire:
- Vi sono Circoscrizioni che hanno solo pochi candidati alla nostra vita e che hanno iniziato un cammino di collaborazione con altre Circoscrizioni per garantire loro le condizioni ottimali per il percorso formativo. Si tratta di una scelta giusta e saggia, perché così si permette ad ogni candidato di compiere il percorso formativo insieme ad altri e di usufruire della presenza di uno o più formatori “liberi da ogni impegno che possa ostacolare la cura e la guida degli aspiranti” (Cost. 26,4). Non è certamente opportuno interrompere un rapporto di collaborazione per il semplice fatto che un anno si dispone di un maggior numero di “propri” candidati. Il nostro Ordine deve ancora maturare per fare della collaborazione a tutti i livelli, e non solo in campo formativo, un valore da perseguire e da rafforzare.
- Oggi è assodato che il cammino di iniziazione alla nostra vita esige un accompagnamento personalizzato che permetta al singolo fratello di camminare speditamente e di affrontare quegli aspetti che lo toccano più da vicino e richiedono una sua maturazione. Vi sono Circoscrizioni che dispongono di molti giovani in formazione ed hanno scelto di avere comunità di formazione con un numero che non superi la decina. Ciò permette loro di porre le premesse per un cammino di integrazione fraterna assai proficuo e per garantire a ciascuno l’accompagnamento necessario. Le Circoscrizioni o gruppi di Circoscrizioni che continuano, durante il tempo della iniziazione, ad avere case di formazione con un numero considerevole di giovani in formazione (20, 30 e più), sono chiamate ad interrogarsi seriamente ed a valutare responsabilmente se in tal modo si garantisce effettivamente, con un reale accompagnamento personalizzato, l’iniziazione alla vita di consacrazione e l’apprendimento della vita fraterna. Sembra evidente che per raggiungere gli obiettivi sopra espressi, il numero elevato dei candidati raggruppati nella stessa fraternità, non costituisce certamente una condizione favorevole. Si può tentare di porre un rimedio ponendo l’accento sulla disciplina, tuttavia ciò non può essere equiparato sic et simpliciter all’atto di formare!
- Il postnoviziato è la fase della iniziazione in cui si approfondiscono e si integrano i valori conosciuti durante il noviziato in vista della professione perpetua. Accanto ai momenti di studio previsti dalle nostre Costituzioni (Cost. n. 30, 3), da realizzare secondo le modalità tipiche della iniziazione, è assodato che prolungate esperienze di vita accanto ai poveri, inseriti in impegni pastorali, dedicandosi ai servizi domestici, al lavoro manuale e alla preghiera contemplativa, sono momenti formativi irrinunciabili. È importante che questa dimensione esperienziale non rimanga un fatto episodico ma accompagni il fratello in formazione lungo tutto l’iter di questa tappa specifica che intende portare alla professione definitiva della nostra vita.
- Attualmente si dà il caso che durante il postnoviziato i candidati alla nostra vita frequentino corsi di formazione iniziale specifica presso Istituti religiosi esterni. Tali situazioni vanno seriamente valutate ed eventualmente rivedute alla luce del significato e dello scopo del postnoviziato, nonché della sua specifica indole in funzione della vita religiosa nel nostro Ordine. In ogni caso anche in tali situazioni deve realizzarsi quanto detto sopra affinché si possano effettivamente garantire ai candidati dei forti riferimenti in tutto ciò che riguarda il nostro carisma francescano e cappuccino.
7. Conclusione[22]
40. Vi sono altri temi che avrei voluto affrontare con voi in questa lettera e che stanno particolarmente a cuore all’attuale Definitorio generale. Mi riferisco in particolar modo ai temi legati alla formazione iniziale specifica in preparazione alla vita apostolica nel ministero ordinato o in altra professione, e alla formazione permanente, alla collaborazione tra le Circoscrizioni quale valore da promuovere a tutti i livelli della formazione nonché in altri ambiti della nostra vita, nell’apostolato o nei progetti di case di orazione e di accoglienza. Ne farò l’oggetto di una prossima lettera.
41. Ciò che vorrei sollecitare è che ognuno si chieda a chi ha consegnato la sua vita e qual è il modo di vivere la propria consacrazione. È importante chiederci per chi e per quale causa sono disposto a dare la mia vita! Rinnovando in noi il sacro fuoco della nostra vocazione, sono convinto che riusciremo anche a rinnovare le piste da proporre per il cammino formativo iniziale. La formazione iniziale non può essere solo in appannaggio dei Superiori e dei formatori, essa riguarda tutti. Di fronte ad essa non si possono prendere le distanze od assumere una posizione neutrale. Tutto ciò sarà chiaramente a danno del cammino formativo. La vita religiosa la si vive in tempi, luoghi e culture assai diverse fra di loro. A noi la sfida per affrontare queste dimensioni con spirito fraterno e in un clima di comunione. Ne usciremo tutti quanti arricchiti! Che il nostro Padre e fondatore, San Francesco, benedica il nostro impegno in questo campo!
Roma, 8 dicembre 2008, Solennità dell’Immacolata Concezione
Fra Mauro Jöhri
Ministro generale OFMCAP
[2] Il Consiglio internazionale della Formazione è stato nominato il 21 giugno 2007.
[3] Analecta OFMCap 123 (2007), 44.
[4] L’Ufficio Generale della Formazione risulta composto dal Presidente (Definitore generale), dal Segretariato Generale della Formazione e dal Consiglio Internazionale della Formazione.
[5] Analecta OFMCap 124 (2008), 36. Il Segretariato Generale della Formazione è attualmente composto da: fr. Rocco Timpano (Segretario Generale della Formazione), fr. Piero Erik Véliz Valencia, fr. Patrick Crasta e fr. Marek Karol Miszczyński.
[6] Ricordo che le nostre Costituzioni prevedono questi tre tipi di formazione: iniziale, speciale e permanente.
[7] “Formazione alla vita Cappuccina nel Postnoviziato”, in Analecta OFMCap, 120 (2004) 1043-1053. Comunemente noto come Documento di Assisi.
[8] Quello del nostro impegno missionario è un altro argomento che merita particolare attenzione e approfondimento. Ricordo unicamente che il nostro Ordine vi consacrò un Consiglio Plenario (III) e l’articolo 1 del XII capitolo delle nostre Costituzioni ha come titolo: L’impegno missionario dell’Ordine.
[9] Cfr. S. Francesco, Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, 62, FF 233.
[10] Idem, 37, FF 221.
[11] Su questo particolare aspetto cfr. PIETRO MARANESI, Facere Misericordiam, Assisi 2007.
[12] L’affermazione di Pio XII rivolta ai Cappuccini nel 1949 è ripresa nell’articolo di GIUSEPPE SCALVAGLIERI in Laurentianum, 48 (2007) 3, 377-476.
[13] Sono le parole che mi ha rivolto papa Benedetto XVI nell’Udienza privata del 5 gennaio 2007.
[14] Cfr. San Francesco, Testamento, 16, FF 116.
[15] Cfr. San Francesco, Lodi di Dio Altissimo, FF 261.
[16] H.U. von Balthasar, Lo Spirito e l’Istituzione, Brescia 1980.
[17] San Francesco, Regola non bollata, IX, FF 29-33.
[18] Cfr. San Francesco, Testamento, 1-2, FF 110.
[19] Cfr. San Francesco, III Ammonizione, FF. 148-151. Cfr. sull’argomento, Giovanni SALONIA, Odòs – La Via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, Bologna 2007
[20] Cost. n. 28,2, Cfr. anche gli Atti del Convegno sul Postulato in Analecta OFMCap 109 (1993), 475-483.
[21] Analecta OFMCap, 120 (2004) 1043.
[22] Nello stendere questa lettera mi sono ispirato tra l’altro ai tre anni trascorsi presso l’Institut de Formation intégrale de Montréal. Per ulteriori riferimenti si veda: Jeannine GUINDON, Vers l’autonomie psychique. De la naissance à la mort, Montréal 2001