"Agiamo nel nome ed nell'esempio del maestro di tutti i cattolici nicastresi ,un vero Santo !"

Don Saverio Gatti

Lascio alla Diocesi di Nicastro tutto quello che io possiedo in beni immobili ed in danaro per la costruenda casa “Domus Bethaniae" dove la comunità dei giovani possa realizzare una responsabilità ed una maturità ecclesiale. Credo in Dio, nel suo amore, e nella sua misericordia. Chiedo ai fratelli perdono dello scandalo che ho dato, dell’egoismo che spesse volte ha distrutto la ricchezza dell’amore, del mio sacerdozio non pienamente e responsabilmente vissuto. Ringrazio Don Vittorio, Don Giulio, Don Eugenio, Don Natale, Don Peppino, Don Pietro e tutti gli altri sacerdoti per l’esempio che mi hanno’ dato nell’ umiltà della dottrina e nella bontà di vita. Ringrazio i giovani e le ragazze per il loro esempio di rettitudine e di sacrificio. Mi affido alla misericordiosa bontà di Dio nella speranza di essere tutti insieme unafamigliafelice. Desidero essere seppellito nella nuda terra senza marmi o altro.  Sac. Saverio Gatti  - DAL TESTAMENTO DI DON SAVERIO GATTI

7 GATTI S., Atti Processi I semestre 1851, Archivio storico Catanzaro, p. 941.  8 GATTI S.,Diario..., p. 84.

Don Saverio Gatti nacque a Nicastro  l'11 Gennaio del 1922 . Don Saverio portava il nome di uno zio farmacista, a cui era molto legato, il quale aveva sempre provveduto al mantenimento della famiglia dopo la perdita del padre. Da lui aveva ereditato la sua passione per la musica, ed un vecchio pianoforte su cui suonava sempre. Fu delicato compositore e brillante esecutore, doti che evidenziava soprattutto quando suonava l’organo in Cattedrale. Entrò nel Seminario Vescovile di Nicastro nel 1934 insieme ai fratello Gianni, magistrato, che mori giovanissimo, e che lui ricordò sempre con profondo rimpianto. Nel suo diario così scrive: “anniversario della morte di mio fratello Giovanni: trentadue anni! Nella linea della volontà del Padre, tutto è bello, perché tutto è buono. Gli avvenimenti della vita ci parlano del tuo amore. Tutto è grazia!”8. Nel 1938 passò, poi, nel Seminario Reggio Calabria, non trascurando, però, la famiglia verso la quale nutrì un perenne sentimento di intenso amore e gratitudine. Dal Seminario scriveva spesso alle sorelle e alla madre.

(foto Gianfranco Porchia)

Reggio Calabria 05 .04.1 943

Carissimi, poiché nessun anno mi sono dimenticato di voi e del vostro onomastico,  è giusto e doveroso che anche quest’ anno vi mandi il mio augurio. Ho voluto scrivervi una lettera per meglio esprimervi i miei pensieri e il mio affetto.Sono dispiaciuto per la malattia di Ninna (sorella), e non appena ho saputo che andava a Roma, sono andato ai piedi del Signore pregandolo, che nella sua bontà, conceda un po’ di gioia alla vostra famiglia. Confidate con cuore aperto nella bontà di Gesù e non vi succederà mai nulla, a Ninna specialmente raccomando che non si impressioni né di possibili bombe inglesi, né di allarmi, affidarsi solo alla bontà del Signore: ecco l’unico rimedio per ogni dolore e per ogni paura. Però, finché siamo su questo mondo saremo sempre, continuamente attanagliati dal  dolore e dalla sofferenza; rileggete nel vostro passato, nelle vostre trentadue primavere trascorse: troverete ogni giorno, ogni anno inciso nel dolore. Vi parlo come un fratello: guardate in alto, offrite la sofferenza per la pace e per la  giustizia e allora avrete assolto il vostro compito. Non vi nascondo che il mio pensiero è a voi, incessante, continuo; dalle prime ore dell’alba, mentre ancora voi dormite, io dinanzi a Cristo, nella Messa di ogni giorno prego,  per mamma prima e poi per voi tutti, ogni sera mando l’Angelo di Dio che vi custodisca. La mia apprensione è per i vostri bambini, tant’ è vero che spesse volte mi vengono in sogno Il pensiero che forse domani saranno non buoni, o vili, o viziosi mi tormenta l’animo:  vi prego di aver sempre cura di loro, perché la loro posizione sociale, la loro bontà dipendono dalla vostra educazione. Non posso chiudere questa lettera prima di avervi ambedue ringraziati, per quello che  cercate di fare in mio favore, durante le vacanze; spesso me ne ricordo, anzi è un sollievo per me ricordare quelle serate passate insieme a casa vostra, o in giardino, sotto il lume lunare, accompagnati nei vostri discorsi dal mormorio dell’acqua che lì scorre. Infine vi  raccomando mamma e Rina, (specialmente se dovrà partire Gianni) ogni pizzico di bontà dimostrato loro, la ritengo fatta a me, ed io non dimentico mai chi mi vuole bene. Vi auguro di passare con gioia serena il vostro onomastico. A Vincenzino il mio affetto e la mia ammirazione, insieme all’augurio fraterno di una vita tranquilla. Ai vostri bimbi baci infiniti. Vi prego di scrivermi spesso e a lungo.

                                                                                       Vi abbraccio ,Saverio

Nel Seminario visse nella preghiera e nello studio con impegno e frutto. Venne ordinato Presbitero il 29 Giugno del 1945 e subito fu nominato vice parroco della Cattedrale. Erano gli anni difficili del dopo guerra, anni di sacrificio ma anche di grandi ideali umani e politici. Don Saverio, come in ogni momento della sua vita, non si tirò indietro e fu tra i sacerdoti che coordinarono il comitato civico in diocesi. La sua parola, come sempre, seppe essere forte e appassionata, tanto da suscitare l’ira di un avversario, e Don Saverio seppe per davvero, vivere il comandamento forse più duro del Vangelo: all’avversario che gli tirava uno schiaffo, lui ebbe l’umiltà di porgere l’altra guancia Non è un aneddoto: ma un episodio reale della sua vita che ancora gli anziani di via Torre ricordano. Per breve tempo gli venne affidata la parrocchia di San Domenico, ma l’impegno maggiore lo profuse per i giovani di cui non trascurò alcun elemento formativo, come quello socio-politico. Dedicò moltissime ore della sua giornata al sacramento della riconciliazione, seguendo con attenta e delicata premura la crescita spirituale di moltissimi giovani. Amante della natura, della vita all’aria aperta, a contatto con le meraviglie del creato, trascorse molto tempo nei campi estivi, si innamorò del metodo educativo “Baden Pawell” e fondò il primo gruppo scout a Nicastro, ritenendo che fosse uno strumento valido per instillare nei giovani principi morali e religiosi seri. Insieme a molti allievi fondò la “Comunità del Sabato” una associazione di preghiera e di esperienza cristiana cui si dedicò con particolare cura. Intanto germogliava nel cuore un grande sogno: quello di realizzare un centro comunitario, una struttura destinata all’accoglienza. Come Gesù si riposava a Betania. nella casa di Marta e Maria, così lui pensò a questo centro come luogo dove ci si potesse riposare dalle fatiche della città e lontano dai rumori, ritrovare il senso di Dio e la poesia intatta dei rapporti esposti all’usura della vita quotidiana. Dopo intoppi, sacrifici. rinunce la "Domus Bethaniae" era lì come una tenda pronta ad accogliere. Nel 1978 seppe di essere ammalato e subito capì che qualcosa di straordinario gli stava capitando e che l’avrebbe segnato per sempre. Forse, davvero, non vive bene,chi non sperimenta la sofferenza: la malattia gli dilatò il cuore e lo dispose ad una paternità più allargata, accolse giovani, genitori, operai, professionisti, credenti e non credenti, senza mai far pesare sugli altri i dolori che lo affliggevano. fl suo pensiero instancabile è stato per gli altri; il suo messaggio più intimo è stato l’amore per il Signore. fl dolore lo rese più umile e ancora più capace di comprendere gli altri, ma soprattutto capace di appoggiarsi a Dio e non a se stesso. Era arrivato al nodo dell’esistenza,al punto in cui si sperimenta se si è o no credenti; lui dimostrò di esserlo e di comprendere “come è dolce attendere in silenzio l’opera salvatrice di Dio!” (Lm 3,26) , come si legge una delle sue ultime lettere. Morì a Verona, in ospedale all’alba del 15 Febbraio del 1983.

 

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Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. (Osea 2.16,18)

«Quanto sono belli... i piedi del messaggero di buone novelle»(Isaia 52:7)

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E come si arriva alla proclamazione di un beato o di un santo?
Il cammino di una causa di beatificazione e canonizzazione prevede due fasi successive:quella diocesana e quella romana.
La fase diocesana si svolge come un’inchiesta; semplificando lo scopo è quello di riunire tutte le prove riguardanti una vita cristiana eroicamente vissuta, l’esistenza e la consistenza di una vera fama di santità. Terminata l’istruttoria, viene elaborata la copia autentica - in termini procedurali si chiama Transunto - che contiene tutto il materiale raccolto nel corso delle interrogazioni dei vari testimoni. Questa copia autentica - o Transunto - viene inviata alla Congregazione delle cause dei santi la quale, una volta accertata la validità giuridica del processo diocesano, dà avvio alla fase romana del processo di beatificazione e canonizzazione. Per esempio si può iniziare il processo di canonizzazione del servo di Dio in Diocesi e concluderlo a Roma, nella sede della Congregazione delle cause dei santi dopo 10 anni. Si tratta dunque di un processo lungo e meticoloso; una volta giunta la causa a Roma, cosa succede? La fase romana comprende tutto un insieme di studi approfonditi, coordinati dal relatore della causa, che porteranno alla redazione della Positio sulla santità della vita del candidato alla beatificazione. In particolare, un gruppo di esperti facenti parte della Consulta storica sarà chiamato a pronunciarsi sul valore scientifico dei documenti pubblicati nella Positio e dei loro specifici contenuti. La causa passa, in seguito, al Congresso peculiare dei consultori teologi, che devono rispondere ai seguenti quesiti fondamentali: se è provata l’esistenza di una vera fama di santità (senza la quale sarebbe assurdo parlare di beatificazione e canonizzazione); se alla base della suddetta fama di santità vi sia, in effetti, una autentica santità di vita che ha raggiunto il grado eroico. Tutto passa poi all’esame del Congresso ordinario dei cardinali e vescovi. Se quest’altro organismo si esprime positivamente, approvando così il lungo e meticoloso lavoro dei consultori storici e teologi, il prefetto della Congregazione porta tale risultato alla considerazione del papa, che pronuncia l’ultimo e definitivo giudizio in merito e decide dunque se procedere o meno alla beatificazione o canonizzazione del servo di Dio. Secondo l’attuale normativa giuridica, per procedere alla beatificazione di un servo di Dio non martire si richiede un miracolo operato dal Signore per sua intercessione. Il miracolo è un evento straordinario che supera le leggi della natura, che suppone un intervento speciale di Dio e che è, allo stesso tempo, un segno ed una manifestazione di un messaggio di Dio all’uomo. I miracoli possono essere fisici o morali, ma per le nostre cause e necessario un miracolo fisico; e, se consiste in una guarigione, questa deve essere istantanea, completa e duratura, oltre che inspiegabile secondo le leggi della natura, alla luce delle attuali conoscenze mediche. La Chiesa esige dei miracoli per la beatificazione e canonizzazione perché sono una sorta di “timbro” che Dio appone sul suo servo, con cui garantisce la sua santità. L’esame delle presunte guarigioni miracolose è compiuto prima sotto il profilo scientifico, cioè è studiato dai medici; poi si pronunciano i Consultori teologi, ai quali spetta dire se la guarigione, naturalmente inspiegabile secondo i medici, è o no un vero miracolo, avvenuto per l’intervento del Signore invocato per intercessione del servo di Dio o del beato. Anche nell’esame del miracolo l’ultima parola spetta al Congresso ordinario dei cardinali e vescovi e, infine, al sommo pontefice. La Chiesa ritiene che i  beati e i santi manifestano la vivacità delle Chiese locali, sono «il più grande omaggio, che tutte le Chiese» rendono a Cristo Signore, «la dimostrazione dell’onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità [ossia di santità] in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme di vocazione cristiana».
E poi le canonizzazioni e beatificazioni hanno una grande importanza pastorale, particolarmente sottolineata da Giovanni Paolo Il: non va infatti dimenticato che una delle linee portanti del suo ministero è stata, sin dall’inizio, la valorizzazione della santità, convinto come è che la «storia della Chiesa è una storia di santità». La santità ha un ruolo centrale nella pastorale della comunità cristiana: posto che, come scrive ancora una volta Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, «fare programmazione pastorale è una scelta gravida di conseguenze», lo stesso pontefice scrive che «la prospettiva in cui deve farsi tutto il cammino pastorale è quella della santità».
(da un’intervista concessa a Palermo da S. Em.za il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi (29-6-04) -fonte:http://www.cardinalrating.com/cardinal_95__article_400.htm

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